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Polmone, il pembrolizumab potenzia la chemioterapia

L’immunoterapia potenzia l’effetto della chemioterapia, nei pazienti con un tumore al polmone avanzato, non operabile. Lo dimostra uno studio presentato al Congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), a Chicago. I dati si riferiscono a 123 pazienti colpiti da un carcinoma non a piccole cellule non squamoso (il più frequente fra i tumori al polmone), metastatico. Come riferisce Letizia Gabaglio su Repubblica, gli studiosi hanno potuto verificare che l’anticorpo monoclonale pembrolizumab, abbinato ai farmaci chemioterapici comunemente impiegati (pemetrexed e carboplatino), permette di allungare il tasso di sopravvivenza in modo sensibile, con una percentuale di risposta alle cure del 57%, quasi il doppio rispetto alla sola chemioterapia (30%). Ecco l’articolo completo di Repubblica.

di Letizia Gabaglio

Il tumore al polmone non operabile è una malattia grave, della quale bisogna parlare con cautela. «Ma grazie alla medicina di precisione e all’individuazione di target su cui mettere in atto cure complesse e costose, oggi possiamo dare un messaggio di speranza a pazienti che, fino a pochi anni fa, avevano davanti a loro pochi mesi di vita», dice Filippo De Marinis, direttore della Divisione di Oncologia Toracica all’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano. «Dopo aver dimostrato che l’immunoterapia funziona meglio della chemioterapia standard in seconda linea, ora arrivano dati che indicano come la combinazione di immunoterapia e chemioterapia in prima linea è più efficace della sola chemioterapia». Il primo studio a dimostrare questa superiorità è stato presentato oggi al Congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) in corso a Chicago. Condotta su 123 pazienti colpiti da tumore del polmone non a piccole cellule non squamoso metastatico, con livelli medio-bassi di biomarcatore PD-L1, la sperimentazione ha valutato l’efficacia di pembrolizumab, nuovo farmaco immuno-oncologico, aggiunto a un regime chemioterapico comunemente usato (pemetrexed e carboplatino). Pembrolizumab, infatti, ha già dimostrato di funzionare molto bene nei pazienti che esprimono in maniera elevata la molecola PD-L1: restava da capire cosa succede nei pazienti, la maggioranza, che invece non hanno livelli rilevanti di questo marker.  

Aumenta la sopravvivenza. I risultati parlano di un tasso di risposta obiettiva del 57%, quasi raddoppiato rispetto alla sola chemioterapia a base di pemetrexed e carboplatino (30%). Inoltre, la combinazione pembrolizumab più chemioterapia determina una riduzione del rischio di progressione di malattia di circa il 50%; a un anno il tasso di sopravvivenza libera da progressione è il 56%, rispetto al 34% della sola chemioterapia, e il tasso di sopravvivenza globale è pari al 76% rispetto al 69% con la chemioterapia, con una riduzione del rischio di morte di più del 30%. «Lo studio presentato all’ASCO è un aggiornamento dei risultati che hanno portato all’approvazione della combinazione in prima linea da parte dell’ente regolatorio americano, la Food and Drug Administration (FDA), aggiungendo 5 mesi di osservazione», spiega Filippo De Marinis. «Con i cinque mesi addizionali di follow up la combinazione pembrolizumab e chemioterapia in prima linea continua a dimostrare un sostanziale incremento dell’efficacia da un punto di vista clinico per i pazienti con malattia non squamosa avanzata, con quasi il doppio della percentuale di risposta obiettiva e un miglioramento della sopravvivenza stimata a un anno».

Il futuro. Nel 2016 sono state registrate in Italia oltre 41.000 nuove diagnosi di questa neoplasia, più del 30% fra le donne. Il tumore del polmone non a piccole cellule non squamoso (adenocarcinoma) rappresenta circa il 60% dei casi, l’istotipo non a piccole cellule squamoso il 20-25%, il carcinoma a piccole cellule (microcitoma) circa il 15%. «È recente la decisione dell’agenzia regolatoria italiana (AIFA) che ha approvato pembrolizumab in prima linea per i pazienti colpiti da carcinoma polmonare non a piccole cellule in fase avanzata che esprimono il biomarcatore PD-L1», sottolinea De Marinis. «E ora, alla luce di questi risultati, ci dobbiamo aspettare una revisione graduale anche della prima linea in chi non esprime PD-L1. Da qui a cinque anni tutti i farmaci immunoterapici passeranno in prima linea e saranno combinati con la chemioterapia, così da ampliarne gli effetti sempre di più».

Data ultimo aggiornamento 8 giugno 2017
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: AIFA, anticorpo monoclonale, carcinoma polmonare, chemioterapia, pembrolizumab



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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