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Poco zucchero nei primi mille giorni di vita: meno diabete e ipertensione da adulti

Per limitare il rischio di sviluppare diabete e ipertensione da adulti, è opportuno che, durante i primi mille giorni di vita, così come durante la gravidanza, l’assunzione di zuccheri non sia eccessiva e anzi, se possibile sia piuttosto limitata. Quando accade, le probabilità di ammalarsi hanno netto calo. Che sia così lo dimostra uno studio appena pubblicato su Science, nel quale i ricercatori si sono avvalsi dei dati di un periodo molto particolare della storia inglese: quello degli anni successivi alla seconda guerra mondiale, durante i quali è rimasto in vigore il razionamento dello zucchero, mentre altri razionamenti erano stati conclusi. Le limitazioni sono infatti state definitivamente abrogate solo nel 1953. Ma la Gran Bretagna possiede anche uno dei più grandi archivi di campioni e dati biologici del mondo: la UK Biobank, nel quale sono ormai depositate le informazioni di oltre mezzo milione di cittadini britannici. Da qui l’idea dei ricercatori della University of Southern California di Los Angeles di verificare l’incidenza di diabete e ipertensione in due campioni: uno di persone concepite tra il 1951 e il 1954, e quindi durante il razionamento, o subito dopo, e un secondo di persone nate tra il 1954 e il 1956, quando non c’erano più vincoli all’acquisto e al consumo di zucchero. Il risultato non ha lasciato dubbi: i primi hanno avuto un’incidenza di diabete inferiore del 35% e di ipertensione del 20% rispetto ai secondi. Inoltre, l’esordio delle malattie è ritardato rispettivamente di due e quattro anni. Il che significa che consumare molto zucchero (come è avvenuto ai primi bambini che vi hanno avuto accesso, con la fine dei razionamenti) durante i primi mille giorni di vita ha conseguenze pesanti nell’età adulta.

Gli autori hanno sottolineato che ciò non significa affatto che una donna incinta o un bambino, dopo i sei mesi di allattamento, debbano rinunciare allo zucchero: anche le carenze e il digiuno sono dannose. Tuttavia non bisogna esagerare come fanno, per esempio, le donne americane, che durante la gestazione assumono in media quantitativi di zuccheri tripli rispetto a quelli consigliati. E’ una questione di proporzioni. E di buon senso.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 5 novembre 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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