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Peste nera e sifilide: non tutto, nella storia,
è andato come si è pensato fino a oggi

Continuano le scoperte sulla storia delle infezioni rese possibili dalle nuove tecniche di sequenziamento genetico. Nelle ultime settimane sono stati infatti pubblicati due studi che mettono in discussione quanto si pensava di sapere in merito a due dei grandi flagelli del passato: la peste nera, e la sifilide. Nel primo caso, i ricercatori dell’Università di Cambridge hanno analizzato i resti di 275 persone seppellite in una fossa comune ai tempi dell’epidemia di peste scoppiata nella zona nel 1349, riuscendo a ricostruire in modo relativamente completo il genoma di 70 di esse. Come hanno poi riferito su Nature, non ci sono prove del fatto che, come sostenuto finora, quella pandemia sia stata così violenta da lasciare tracce nel DNA dei sopravvissuti, che sarebbero riusciti a rimanere vivi solo grazie ad alcune varianti genetiche, particolarmente adatte a resistere all’infezione, che avrebbero poi trasmesso alla prole. Si sarebbe quindi verificata una sorta di selezione naturale accelerata. Ma le porove attuali non confermano affatto questa ipotesi, avanzata negli anni scorsi, e data forse troppo frettolosamente per buona.

Il secondo studio, pubblicato ancora su Nature, e condotto dai ricercatori delle Università di Basilea e Zurigo, mostra invece che già mille anni prima della scoperta dell’America nel continente era presente un’infezione della stessa famiglia della sifilide. Le analisi compiute sulle ossa di quattro individui scoperte in Brasile, a Santa Caterina, mostrano infatti chiari segni di presenza di un microrganismo che causa una forma di sifilide a trasmissione cutanea, e non sessuale, chiamata anche bejel, il Treponema pallidum endemicum, identificato anche in resti di epoca romana del bacino del Mediterraneo. Questo tipo di malattie colpisce quindi da millenni, secondo alcune fonti ha fatto la sua comparsa in un periodo compreso tra 12.000 e 550 anni avanti Cristo.  

Non ci sono prove invece del fatto che, come ipotizzato in altri studi, la sifilide classica, venerea, sia arrivata in Europa dal continente americano, né finora si capisce dove sia comparsa per la prima volta. Forse, si ipotizza, è scaturita da un’ibridazione di alcune delel forme precedenti, per trasferimento di geni.

La caccia al paziente zero è dunque ancora aperta. E con le nuove tecniche di sequenziamento rapido, e un po’ di fortuna, presto potrebbero essere annunciate nuove scoperte.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 5 marzo 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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