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In arrivo, forse, un nuovo antivirale attivo contro i virus influenzali e i loro sintomi

La lotta ai virus influenzali si potrebbe presto arricchire di una nuova molecola, un antivirale chiamato baloxavir marboxil che, in uno studio clinico di fase 3 chiamato CENTERSTONE, ha mostrato di avere effetti rilevanti, e che potrebbe quindi arrivare al traguardo dell’approvazione in tempi relativamente rapidi.

I virologi dell’Università di Hong Kong hanno coordinato la sperimentazione, che è stata condotta in 15 paesi tra il 2019 e il 2024, e che ha coinvolto poco meno di 1.500 persone positive per l’infezione di età compresa tra i 5 e i 64 anni e circa 2.600 controlli, cioè persone conviventi, ma non infettate all’inizio dello studio. I pazienti sono stati trattati con il baloxavir marboxil una sola volta, oppure con un placebo, entro 48 ore dalla comparsa dei sintomi e il parametro analizzato per primo è stato il tasso di trasmissione dell’infezione ai controlli nei cinque giorni successivi alla diagnosi (e al trattamento). Come riferito sul New England Journal of Medicine, il farmaco ha ridotto il rischio di contagio dei conviventi del 32%, e quello di contagio che evolve in una malattia con sintomi di poco meno del 2% (un effetto, questo, non significativo). Il farmaco è però risultato associato a una diminuzione più imponente della carica virale, nei primi tre giorni, rispetto al placebo, e anche questo aiuta a limitare la diffusione del contagio. Infine, non sono emerse criticità per quanto riguarda la sicurezza o la tollerabilità, e la resistenza al farmaco, comparsa nel 7,2% dei trattati, non è stata trovata nei contatti di questi ultimi, fatto che suggerisce che non si trasmetta facilmente tra i virus.

Il baloxavir marboxil potrebbe quindi rivestire un ruolo non solo nel contrasto ai sintomi e nella durata della malattia, ma anche nella trasmissione dei contagi, soprattutto tra i contatti, e tutto ciò lo rende un farmaco da seguire con attenzione, anche perché potrebbe essere approvato molto presto.

 

A.B.
Data ultimo aggiornamento 26 giugno 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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