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Per prevenire la formazione di trombi
bisogna imparare dagli orsi in letargo

Come mai gli orsi, nonostante la stazza, durante i sei mesi circa di letargo non vanno incontro, se non raramente, a eventi tromboembolici, ossia a trombosi dei vasi profondi e di quelli polmonari, come invece accade a chi è colpito da una paralisi acuta, a chi affronta lunghi viaggi in aereo e in generale a chi è costretto all’immobilità?

La domanda, oltre a essere rilevante dal punto di vista della biologia animale, lo è per gli esseri umani, perché la risposta potrebbe aiutare a combattere appunto le trombosi. Per questo un gruppo di ricercatori norvegesi e svedesi ha pensato di verificare sul campo, e cioè di effettuare prelievi a 13 orsi (Ursus arctos), situati in Svezia e dotati di GPS, durante il periodo del letargo e poi nuovamente dopo il risveglio primaverile, sia nel 2019 che nel 2021. Come hanno poi riferito su Science, i test hanno mostrato un meccanismo chiaro: durante il letargo le piastrine (gli elementi del sangue responsabili della coagulazione ma, anche, dei trombi), esprimono quantità molto più basse (inferiori di 55 volte) rispetto ai periodi di veglia di una proteina presente sulla loro superficie, chiamata heat-shock protein 47 o HSP47. E poiché HSP47 è fondamentale per permettere il legame delle piastrine al collagene (il primo passaggio della formazione di coaguli), quando la sua concentrazione è ridotta, anche l’aggregazione piastrinica è meno efficiente. Ulteriori esperimenti di diverso tipo hanno poi confermato che qualcosa di simile accade anche ai topi, ai maiali e agli esseri umani, sia pure in misura minore: il meccanismo è stato dunque conservato durante l’evoluzione dei mammiferi. E HSP47 potrebbe diventare il fulcro di nuovi approcci terapeutici contro le trombosi,  per esempio basati su una diminuzione di HSP47 in caso di necessità (come durante un ricovero che costringe all’immobilità).

A.B.
Data ultimo aggiornamento 19 aprile 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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