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Per neutralizzare lo stress ossidativo dell’AIDS meglio chiedere aiuto alla propoli

Chi soffre di AIDS, anche quando non ha sintomi o quando tiene la malattia sotto controllo con i farmaci, deve affrontare una serie di conseguenze tanto della prima quanto dei secondi, tra le quali la senescenza del sistema immunitario, profondamente sconvolto dal virus, e un livello di ossidazione generalizzata eccessivo, uno stress ossidativo che predispone a tumori, diabete e altre malattie, e in genere accorcia la vita di diversi anni (dai 10 ai 20) rispetto alle persone sane. Per questo tenere a bada, oltre al virus, anche l’infiammazione generale e tutti gli aspetti associati può avere effetti terapeutici molto rilevanti. E secondo due studi effettuati presso il São Paulo State University’s Botucatu Institute of Biosciences (IBB-UNESP) lo si può fare con un rimedio naturale: la propoli, resina degli alveari già nota per le sue caratteristiche antisettiche.

Nel primo, pubblicato su Biomedicine & Pharmacotherapy, una ventina di malati in terapia ha ricevuto 500 milligrammi di propoli al giorno, e altrettanti un placebo, per tre mesi, alla fine dei quali i primi avevano un marcatore tipico dello stress ossidativo, la malonildialdeide, significativamente ridotto.

In un altro studio, uscito su Biomedicine & Pharmacotherapy e parte della stessa sperimentazione su 40 malati, con 500 mg di propoli o di placebo, era stato messo in evidenza l’aumento dei linfociti CD4+ e quella di un marcatore specifico che segnala l’aumento della risposta immunitaria.

La propoli potrebbe quindi rientrare negli schemi terapeutici dei malati di HIV, come supplemento alle terapie tradizionali, che restano indispensabili, anche perché non è emerso alcun effetto collaterale.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 17 agosto 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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