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Per le crisi respiratorie di asma e BPCO
c’è un (vecchio) anticorpo monoclonale

Il trattamento delle crisi acute di asma e broncopatia cronica ostruttiva o BPCO potrebbe cambiare radicalmente, grazie a un anticorpo monoclonale già in uso per la gestione dell’asma, e dunque non per le fasi acute. Uno studio pubblicato su Lancet Respiratory Medicine dagli pneumologi del King’s College di Londra dimostra infatti che una sola iniezione si benralizumab tiene a bada le crisi meglio dei cortisonici utilizzati di routine, e ha effetti anche a medio termine. Nello specifico, l’anticorpo, che neutralizza una citochina (mediatore infiammatorio) chiamata interleuchina 5, sembra essere efficace contro un tipo di crisi, quella chiamata da eosinofili, che rappresenta circa il 30% di tutte le crisi di BPCO e almeno la metà di quelle di asma, e che è provocata da un eccesso di cellule della serie bianca del sangue chiamate appunto eosinofili. Queste crisi, che rendono molto difficile respirare, possono essere mortali, richiedono quasi sempre un ricovero e di solito sono trattate con dosaggi elevati di cortisonici che, però, falliscono in un paziente su tre e hanno effetti collaterali non irrilevanti.

Nella sperimentazione, chiama ABRA (da Acute exacerbations treated with BenRAlizumab) una novantina di pazienti accuratamente selezionati sono stati trattati, durante una crisi respiratoria di tipo eosinofilo, con un’iniezione e una pillola di placebo, oppure con il trattamento standard di cinque giorni di cortisonici e un’iniezione di placebo oppure, ancora, con l’anticorpo più i cortisonici. Nessuno, né i pazienti né i medici, sapeva che cosa una certa persona stesse assumendo. Dopo 28 giorni, tutti i sintomi respiratori e la composizione dell’espettorato sono risultati migliori in chi era stato trattato con il monoclonale e dopo 90 giorni la quantità di pazienti in cui la cura non aveva avuto successo era quattro volte inferiore. Ottimo anche il profilo degli effetti collaterali, peraltro già noto: a differenza dei cortisonici, che per esempio danneggiano il sonno, il benralizumab non sembra provocare disturbi.

La terapia per le crisi respiratorie è sempre la stessa da oltre cinquant’anni, ed è basata sui cortisonici. Se quanto osservato ora sarà confermato, presto tutto potrebbe cambiare.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 29 novembre 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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