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Per controllare la schizofrenia arrivano un nuovo farmaco e la stimolazione magnetica

La cura della schizofrenia potrebbe essere presto ampliata, grazie a due nuovi tipi di cure: un farmaco innovativo, e un trattamento basato su una stimolazione

Nel primo caso, la speranza arriva da uno studio pubblicato su Lancet dai ricercatori e psichiatri dell’Università dell’Indiana di Indianapolis e della Karuna Therapetics di Boston (azienda che ha messo a punto il farmaco), che hanno sperimentato una molecola chiamata KarXT (da Xanomeline–trospium), in circa 120 malati, e messo a confronto quanto osservato con ciò che avevano visto in altrettanto malati trattati con un placebo.

La KarXT, costituita da due molecile diverse, agisce in modo differente rispetto a tutti i farmaci più usati nella schizofrenia, che interagiscono con la dopamina. In questo caso, il neurotrasmettitore è l’acetilcolina, molto coinvolta nei processi cognitivi e della memoria. Il farmaco, in particolare, riesce a interagire solo con i suoi recettori chiamati muscarinici, e, grazie allas econda molecola, solo con quelli presenti a livello centrale. Si tratta di un grande passo in avanti, perché questi recettori sono presenti ovunque, nel corpo umano, e finora era stato quasi impossibile avere farmaco con azione selettiva.

In base a quanto osservato, i pazienti, trattati con una pillola al giorno per cinque settimane, hanno mostrato un miglioramento nelle crisi psicotiche e in generale nei momenti caratterizzati da picchi dell’umore decisamente più evidente rispetto a chi era stato trattato con un placebo.

Gli effetti collaterali, poi, sono stati simili nei due gruppi, e hanno sancito la buona tollerabilità del farmaco. Per KarXT è già stata chiesta l’approvazione alla Food and Drug Administration, mentre sono ancora in svolgimento altri bracci dello studio, ma occorrerà attendere qualche mese prima di sapere quale sarà la decisione dell’agenzia regolatoria statunitense.

Nel frattempo, un altro studio, questa volta pubblicato su Neuropsychopharmacology Reports ha dimostrato che, per migliorare i deficit di memoria tipici della malattia, potrebbe essere di aiuto la stimolazione magnetica transcranica, una tecnica che sfrutta le onde elettromagnetiche somminnistrate dal’esterno, in studio per diverse applicazioni soprattutto neurologiche e,appunto, psichiatriche.

Gli psichiatri dell’Università di Pechino hanno sperimentato la tecnica su 50 pazienti e 18 controlli, applicando il magnete per 26 sedute, e hanno dimostrato che vi sono miglioramenti in alcune delle scale classicamente utilizzate per misurare i diversi tipi di memoria. In particolare, sembra migliorare quella che richiama eventi specifici, più che quella che si basa sullo svolgimento temporale dei fatti. In ogni caso, non vi sono effetti collaterali. Se confermati, questi dati potrebbero quindi contribuire a trasformare la stimolazione transcranica in un valido aiuto per questo aspetto specifico della schizofrenia.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 27 dicembre 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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