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Per abbassare la mortalità da temperature estreme ci vogliono condizionatori e stufe

I sistemi di raffrescamento e riscaldamento degli ambienti interni possono salvare molte vite, anche se andrebbero sostituiti con altre strategie che riescano a contrastare le temperature estreme in modo meno inquinante. Lo sostiene uno studio nel quale è stato analizzato l’andamento della mortalità (su base giornaliera) tra il 1980 e il 2018, e quanto emerso è stato messo in relazione con le temperature esterne in 48 province della Spagna, paese particolarmente esposto a picchi di temperature elevate, ma anche ad abbassamenti repentini.

Come riferito su Environment International, i condizionatori sono risultati associati a una diminuzione dei decessi per caldo del 28,6%, e per caldo estremo del 31,5%.

Analogamente, i sistemi di riscaldamento domestico, nel periodo di tempo esaminato, hanno evitato il 38,3% delle morti attribuibili al freddo, e il 50,8% di quelle causate dal freddo estremo.

La diffusione dei metodi di controllo della temperatura degli ambienti ha seguito di pari passo le sviluppo socioeconomico del paese, soprattutto nelle aree più interne e storicamente più arretrate, ed è considerata, appunto, un avanzamento sociale. Tuttavia, i condizionatori e i riscaldamenti sono fonti importanti di emissioni di gas serra, sia quando sono alimentati a gas naturale sia quando sono elettrici, a meno che, in quest’ultimo caso, l’elettricità non provenga da fonti rinnovabili e non, come accade nella maggior parte dei casi ancora oggi, da derivati del petrolio. Sarebbe comunque opportuno sviluppare metodi alternativi quali la presenza di aree verdi nei centri urbani, che aiutino a tenere sotto controllo le temperature estreme agendo sui microclimi. Anche perché, secondo tutte le previsioni, i picchi (sia di calore che di freddo) saranno sempre più frequenti, e sarebbe quindi necessario (e utile) studiare provvedimenti strutturali e sostenibili.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 21 dicembre 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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