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Per abbassare la lipoproteina A, che mette
a rischio il cuore, basta interferire con l’RNA

Sei dati appena pubblicati sul New England Journal of Medicine saranno confermati, la prevenzione delle malattie cardiovascolari, almeno per una quota di persone, potrebbe fare un deciso passo in avanti. Un nuovo farmaco chiamato lepodisiran, infatti, è stato in grado di abbattere quasi del 94% la concentrazione di una proteina meno conosciuta rispetto al colesterolo totale e a quello cosiddetto cattivo (le LDL), ma altrettanto pericolosa, chiamata Lipoproteina A o Lp(a). E le buone notizie non finiscono qui: si tratta di un farmaco innovativo, che agisce sull’RNA che serve per produrre la proteina nel fegato, inibendolo (e per questo è chiamato siRNA, da small interference). E, quindi, di un farmaco genetico, categoria cui si guarda con estremo interesse, per la specificità di azione, e che sta iniziando a produrre risultati alquanto rilevanti.

Nello studio, coordinato dai cardiologi della Center for Clinical Research di Cleveland, in Ohio, e della Monash University di Melbourne, in Australia, 320 persone con valori elevati di Lp(a) sono stati trattati con dosi crescenti di lepodisiran o con un placebo al giorno zero e poi dopo sei mesi, somministrato per via sottocutanea. Alla fine, il gruppo che aveva ricevuto il dosaggio più elevato (400 milligrammi al giorno), ha avuto un calo della LPA del 93,9%, che è iniziato dopo 60 giorni. Non sembrano esserci stati effetti collaterali gravi (35 persone ne hanno avuti, ma è stata esclusa la connessione con il farmaco). 

Si stima che nel mondo 1,4 miliardi di persone abbiano valori di Lp(a) che li pongono a rischio di infarti e ictus, spesso senza saperlo. Tuttavia, contro questa proteina, finora, non esiste una cura specifica, e la stessa dieta non può molto. Se il farmaco che inibisce l’RNA silenziandolo si confermasse così efficace, la situazione potrebbe cambiare molto in fretta, in meglio, per tutti coloro che hanno valori elevati.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 7 aprile 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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