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Una persona su quattro interrompe le cure

Resi noti i dati di una ricerca, unica in Europa, realizzata da alcune associazioni italiane. I pazienti più "indisciplinati" sono quelli con la psoriasi

di Marianna Castelluccio

La scarsa aderenza alle terapie, soprattutto in pazienti con patologie croniche, quali artrite reumatoide, spondilite anchilosante, malattia di Crohn, colite ulcerosa, psoriasi e artrite psoriasica, è un problema poco esplorato sebbene molto diffuso. I dati parlano del 25% di pazienti che decidono di sospendere i trattamenti momentaneamente, o in maniera definitiva, nonostante la possibilità di andare incontro a un peggioramento delle condizioni di salute e quindi della qualità di vita. Ciò con ovvie ripercussioni anche sulla sostenibilità dei sistemi sanitari.

A fare luce sul fenomeno è il progetto Mosaico – unico nel suo genere in Europa - nell’ambito del quale è stata condotta da Doxa Pharma la prima ricerca italiana di confronto sull’aderenza alle terapie nelle patologie autoimmuni. Tra i promotori del progetto, l’Associazione Nazionale Malati Reumatici (ANMAR), l’Associazione Nazionale per le Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino (AMICI Onlus) e l’Associazione Nazionale Amici per la Pelle (ANAP Onlus). 

L’INDAGINE - La ricerca ha coinvolto un ampio campione di medici e pazienti. Complessivamente, tra il 7 luglio e il 24 ottobre 2014 sono stati intervistati 243 specialisti, di cui 117 reumatologi, 76 gastroenterologi e 50 dermatologi; 1.017 pazienti, di cui 233 con patologie osteoarticolari (artrite reumatoide e spondilite anchilosante), 449 con patologie gastriche (malattia di Crohn e colite ulcerosa), 273 con malattie dermatologiche (psoriasi) e 62 con artrite psoriasica. La ricerca è stata condotta attraverso la distribuzione di questionari che i medici e i pazienti hanno autocompilato.

L’ADERENZA ALLA TERAPIA - Secondo i medici intervistati, almeno un paziente su 4 non è aderente alla terapia, cioè non mette in atto quei comportamenti (nel prendere le medicine, seguire una dieta e/o cambiare lo stile di vita ) che corrispondono a precise raccomandazioni. Questa mancata aderenza da parte dei loro pazienti varia dal 25% di chi soffre di patologie osteoarticolari e gastroenterologiche, al 32% dei pazienti con psoriasi. I dati evidenziano un’inclinazione da parte dei medici a sottostimare la bassa aderenza alle terapie dei loro pazienti. Infatti, stando a quanto dichiarano i pazienti stessi, la mancata aderenza alla terapia varia dal 36% al 50% (quindi molto più di quanto "percepiscono" i medici).
In particolare, le persone con psoriasi ricorrono alle terapie in maniera più discontinua e imprecisa di tutti gli altri pazienti considerati. «Probabilmente quest’ ultimo dato deve essere interpretato alla luce della scarsa conoscenza che ancora oggi molti pazienti hanno della malattia psoriasica e della sua “sistematicità” - spiega Nicola Balato, professore associato di dermatologia presso l’Università degli studi di Napoli Federico II. - Per anni, infatti, la psoriasi è stata considerata malattia dei “sani”, senza comprendere che invece rappresenta l’aspetto più evidente di una vera e propria sindrome, che colpisce più organi e apparati. Questa scarsa consapevolezza della patologia spesso determina nei pazienti un atteggiamento di rassegnazione, rispetto a una malattia dalla quale non si guarisce, ma con la quale si può solo convivere». 

PIU’ FEDELI AI FARMACI BIOLOGICI - Complessivamente le persone in terapia con farmaci biologici dimostrano di attenersi maggiormente alle raccomandazioni del medico, in termini di quantità, modalità e periodo di assunzione dei farmaci, rispetto ai pazienti cui sono prescritte terapie con farmaci tradizionali. Questo avviene, probabilmente, per la minore presenza di fastidi legati agli effetti collaterali dei farmaci. Su un versante diverso, il miglioramento dei sintomi spinge i pazienti affetti da psoriasi ad abbandonare le terapie, confortati da un miglioramento estetico della loro pelle.

IL DELICATO RAPPORTO CON I MEDICI - La ricerca evidenzia come la decisione di seguire scrupolosamente le indicazioni dello specialista sia il risultato di una dinamica complessa, che risiede tanto nel delicato rapporto medico-paziente, quanto in fattori legati alle caratteristiche specifiche dei farmaci, alla frequenza e alla modalità di somministrazione, alla presenza di effetti collaterali e alla percezione dei benefici delle cure anche in termini di qualità di vita. In particolare si è visto che nel caso di terapie con farmaci biologici, i medici e il personale sanitario dedicano maggior tempo e attenzione al rapporto con i propri pazienti, probabilmente per fornire le spiegazioni necessarie a un tipo di trattamento più complesso e innovativo rispetto alle cure tradizionali. Ma sono ancora numerosi i pazienti che si dichiarano insoddisfatti delle informazioni ricevute dai medici: problema lamentato dal 37% di coloro affetti da patologie reumatiche, percentuale che sale fino al 73% di chi soffre di psoriasi.

Anche i disturbi e i fastidi nell’assunzione della terapia possono avere un effetto negativo sull’aderenza: si è notato, infatti, come un numero elevato di pastiglie, oppure forti effetti collaterali, o la necessità di assumere i farmaci più volte al giorno, magari sul luogo di lavoro o in concomitanza con i pasti, siano tutti aspetti che fanno aumentare l’intensità del disturbo associato alla cura, spingendo i pazienti ad abbandonarla. Le persone con patologie osteoarticolari e con artrite psoriasica accusano i disturbi maggiori, mentre il primato del numero di somministrazioni giornaliere di farmaci spetta alle persone colpite da patologie infiammatorie intestinali. La situazione migliora tra le persone in cura con farmaci biologici, che hanno il minor numero di somministrazioni quotidiane rispetto a tutti gli altri pazienti.

COME MIGLIORARE - Secondo i rappresentanti scientifici dell’Advisory Board Mosaico, «migliorare l’aderenza ai trattamenti è possibile, ma non esiste un intervento universale, specifico e risolutivo, che possa essere raccomandato per tutti i pazienti». La ricerca promossa nell’ambito del Progetto Mosaico ha comunque il grande valore di avere portato all’attenzione di medici e pazienti un problema, quello dell’aderenza, spesso sottostimato e poco considerato. ’

Data ultimo aggiornamento 22 aprile 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: artrite reumatoide, farmaci biologici, malattie autoimmuni, psoriasi



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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