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Stimolare i nervi (e non il cervello) per ridare movimenti fluidi ai malati di Parkinson

Un fotogramma tratto da un filmato del centro NeuroRestore del Politecnico di Losanna, che mostra i progressi ottenuti da Marc Gauthier, il primo malato di Parkinson su cui è stato innestato il nuovo dispositivo in grado di stimolare i nervi.

Il paziente si chiama Marc Gauthier, ha 63 anni e vive a Bordeaux, in Francia. Ha la malattia di Parkinson da quando aveva 36 anni e anche, secondo i medici e i bioingegneri che l’hanno seguito negli ultimi due anni, molto coraggio. Perché Marc è la prima persona cui è stato impiantato un dispositivo per la stimolazione elettrica dei muscoli direttamente nella colonna vertebrale (una posizione delicatissima), cioè dove partono i nervi che, appunto, giungono ai muscoli per regolarne il movimento. Scopo di questa piccola, ma sofisticatissima apparecchiatura: rendere i movimenti di chi soffre della malattia (tipicamente rigidi, compromessi dai tremori, “congelati” e sbilanciati) di nuovo fluidi e controllati, in modo da poter permettere di preservare l’autosufficienza e la mobilità.

La storia di Marc Gauthier, illustrata sulla rivista scientifica Nature Medicine, è stata ripresa in tutto il mondo, perché i risultati sono stati veramente brillanti, come si può vedere nei filmati e nelle foto diffusi dai ricercatori, i bioingegneri e medici del centro NeuroRestore del Politecnico di Losanna, guidati da Grégoire Courtine. L’équipe è specializzata in questo tipo di protesi, finora studiate per chi aveva subito una lesione spinale. Gli studiosi svizzeri hanno lavorato insieme a quelli dell’Università di Bordeaux, in Francia.

Il sistema, che si basa sull’idea di non cercare di regolare il movimento partendo dal cervello, ma laddove esso concretamente inizia, e cioè, appunto, dalla colonna, prevede il posizionamento di uno stimolatore elettrico all’altezza delle vertebre lombari. Questo dispositivo è collegato a elettrodi sistemati lungo i nervi che partono da esse per arrivare ai muscoli, e la sua attività si adatta in tempo reale sulla base di ciò che succede nel singolo paziente e, quindi, alle sue esigenze e caratteristiche specifiche. Il tutto è alimentato da un dispositivo grande come un pacemaker, da inserire sottocute nell’addome.

Frutto di molti anni di studio sulla conduzione nervosa che porta gli stimoli dalla colonna vertebrale agli arti, ricevendone feedback continui, il dispositivo riesce a stimolare i nervi armoniosamente, facendo riacquistare loro una funzionalità piena, e simile a quella di una persona senza la malattia. Ciò significa che, pur senza intervenire in alcun modo sulle cause del Parkinson, riesce a contrastarne gli effetti, allungando (per un tempo ancora da definire) il mantenimento dell’autonomia funzionale, riducendo la necessità di ricorrere a farmaci specifici e migliorando sensibilmente la qualità di vita dei pazienti.

Per Marc è stato necessario un intervento durato un paio d’ore ed effettuato all’Ospedale universitario di Losanna due anni fa, seguito da quattro mesi di taratura del dispositivo e riabilitazione, durante i quali i miglioramenti sono subito apparsi evidenti. Oggi Marc utilizza il sistema in media per otto ore al giorno, lo spegne solo quando dorme o quando rimane seduto a lungo, e grazie a esso riesce non solo a scendere le scale o a entrare in un ascensore (compiti che prima lo spaventavano al punto da fargli evitare anche solo di provare, temendo di cadere), ma è in grado anche di compiere lunghe passeggiate, che nel fine settimana possono arrivare a 5-6 chilometri.

Stando a quanto riferito da Courtine e dai suoi colleghi, si tratta comunque di un prototipo con molti aspetti ancora da ottimizzare, prima di pensare a un impiego su larga scala. Alcuni dei ricercatori coinvolti stanno lavorando a una versione che possa essere prodotta a livello industriale, in collaborazione con la Onward Medical (azienda fondata dallo stesso Courtine), e sostenuti dalla Fondazione Michael J. Fox, fondata dall’attore statunitense colpito da una forma giovanile di Parkinson, che ha come missione la ricerca e l’estensione al maggior numero possibile di malati di tutto ciò che può essere utile.

Nel frattempo, altri sei pazienti verranno operati nei prossimi mesi, seguendo così le orme di Marc Gauthier, e fornendo moltissimi altri dati utili per rendere lo stimolare sempre più efficiente e sicuro. Per esempio, si cercherà di capire se vi siano o meno caratteristiche ideali per candidare un paziente all’impianto in via preferenziale. 

Il dispositivo potrebbe infatti essere consigliato a chi, come Mark, ha una forma giovanile della malattia, e quindi molti anni davanti a sé. Di solito questi pazienti iniziano con i farmaci e poi, in alcuni casi, quando i medicinali non sono più efficaci, ricevono un impianto di stimolazione cerebrale profonda, basato sull’inserimento di elettrodi nel cervello che, tuttavia, entro un certo numero di anni, tendono a funzionare meno. Il dispositivo spinale potrebbe quindi essere una sorta di ultimo “trattamento” per chi ha esaurito le altre possibilità, ma potrebbe ancora rispondere bene perché in età adeguata e senza altre gravi patologie.

Nel mondo, secondo le stime ufficiali, oggi le persone colpite dal Parkinson sono 8,5 milioni, e il loro numero è destinato ad aumentare, perché la malattia è correlata all’età (e la vita media si sta allungando nei Paesi più avanzati, dal punto di vista economico).

A.B.
Data ultimo aggiornamento 9 novembre 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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