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Pace fatta dopo decenni di battaglie
per le cellule "rubate" a Henrietta

Una foto di Henrietta Lacks nella casa del nipote Ron Lacks © Getty Images

di Agnese Codignola

Il primo agosto Henrietta avrebbe compiuto 103 anni, se non fosse scomparsa quando ne aveva solo 31, nel 1951. Ma i suoi eredi hanno scelto questa data simbolica per annunciare, dopo anni di battaglie legali, il raggiungimento di un accordo extragiudiziale, di cui non hanno rivelato i particolari, con l’azienda colosso delle biotecnologie Thermo Fisher Scientifics. Oggetto della causa, le HeLa Cells, le cellule appunto di Henrietta Lacks (da cui il nome della linea cellulare) utilizzate per decenni senza riconoscere alcun provento economico derivante dalle scoperte ottenute grazie a esse, e senza neppure dire che quelle cellule erano state ottenute senza permesso, da una donna afroamericana confinata nella sezione per neri dell’ospedale Johns Hopkins di Baltimora.

La storia è stata poi raccontata in un libro che è diventato un bestseller mondiale, La vita immortale di Henrietta Lacks, scritto dalla giornalista statunitense Rebecca Sklot e basato, anche, sul racconto della figlia di Henrietta, Deborah, e in seguito è diventato un film HBO interpretato da Oprah Winfrey. Eppure continua a far parlare di sé, per la sua importanza nella storia della medicina e per il dibattito bioetico che ne è scaturito. 

Henrietta, una giovane poverissima afroamericana che lavorava nei campi di tabacco della Virginia, come la maggior parte della sua famiglia da generazioni, e che viveva in un villaggio di baracche chiamato Clover, ha 31 anni quando muore per un tumore al collo dell’utero estremamente aggressivo, e contro il quale, allora, non c’erano terapie. Ma i medici che l’hanno in cura, e che hanno prelevato dei campioni di cellule tumorali mentre lei è ancora viva, e sotto anestesia, capiscono presto le potenzialità di quelle cellule che continuano a crescere, apparentemente senza rallentamenti neppure quando sono poste in una piastra, e quindi al di fuori dell’organismo. Fino a quel momento, infatti, non era stato possibile avere colture cellulari stabili, perché ogni volta che si era cercato di ottenerle, le cellule erano morte dopo poche ore, o giorni. Ma il biologo George Gey capisce che questa volta la situazione potrebbe essere assai diversa, e riesce a immortalizzarle, cioè a renderle appunto immortali. Nasce così la prima linea cellulare al mondo, quella delle HeLa cells, che ancora oggi è utilizzata in centinaia di laboratori pubblici e privati, per studi della più varia natura e già oggetto di oltre 70.000 pubblicazioni scientifiche. Negli anni, grazie alle cellule HeLa sono stati compiuti passi in avanti decisivi per sconfiggere malattie quali l’AIDS, Ebola, la poliomielite, il morbillo, il tumore del collo dell’utero e numerosi altri tipi di tumore. E grazie alle potenzialità mostrate dalle HeLa sono state create decine di linee cellulari partendo dalle cellule di altri pazienti oncologici, ancora usatissime nei laboratori e nelle aziende.

Nessuno, però, si era mai preoccupato di dire ai parenti di Henrietta quanto quelle cellule fossero importanti, a quali farmaci o terapie avessero portato, nonostante pochi anni prima, a seguito dei processi di Norimberga ai medici nazisti, fosse stato stilato l’omonimo Codice che definiva, in dieci punti, le pratiche ammissibili nell’ambito delle sperimentazioni cliniche sugli esseri umani. Il primo punto, considerato il più importante, stabiliva l’obbligatorietà del consenso volontario, e cioè che “la persona coinvolta dovrebbe avere la capacità legale di dare il consenso, e dovrebbe quindi esercitare un libero potere di scelta, senza l’intervento di qualsiasi elemento di forzatura, frode, inganno, costrizione, esagerazione o altra ulteriore forma di obbligo o coercizione; dovrebbe avere, inoltre, sufficiente conoscenza e comprensione dell’argomento in questione tale da metterlo in condizione di prendere una decisione consapevole e saggia”. Il dovere e la responsabilità di creare quelle condizioni erano demandati a chi avrebbe condotto l’esperimento. Ma per Henrietta queste regole, sottoscritte anche dagli americani, non sono mai state rispettate. 

Poi, negli anni Settanta, la famiglia inizia a rendersi conto dell’ingiustizia, ma non ottiene nulla per decenni. Uno dei primi successi arriva solo nel 2013, quando il sequenziamento dei geni di Henrietta viene inserito in un grande database pubblico, di nuovo senza coinvolgere minimamente gli eredi. Una scelta che fa discutere molto, dal momento che quei geni sono anche, in gran parte, quelli dei membri della famiglia, e generano quindi una questione molto importante di privacy e di proprietà dei dati genetici. Dopo una lunga battaglia legale, i parenti raggiungono un accordo con i National Institutes of Health (NIH): l’accesso ai dati sul genoma delle cellule HeLa, da allora, è gestito da un comitato di cui fanno parte anche due membri della famiglia. Poi, nel 2020, una delle più grandi istituzioni per la ricerca biomedica del Paese, la Howard Hughes Medical School, fa una consistente donazione alla Fondazione Henrietta Lacks creata da Rebecca Sklot nel 2010, grazie agli introiti delle vendite del libro, con lo scopo di sostenere le persone che hanno dato contributi importanti all’avanzamento delle conoscenze scientifiche, senza trarne alcun beneficio. Ma, nel frattempo, le altre cause vanno avanti, a cominciare proprio da quella contro Thermo Fisher, accusata di aver impiegato per decenni le cellule HeLa traendone enormi profitti (l‘azienda le coltivava e le vendeva).

Nel 2021 è l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a rendere omaggio a Henrietta, in una cerimonia svoltasi a Ginevra, seguita da una medaglia d’oro del Congresso americano. Poi, in questi giorni, l’accordo con Thermo Fisher.

Ma la famiglia non intende fermarsi: come annunciato il primo agosto dall’avvocato Chris Ayers, le cause continueranno contro qualunque azienda o altra entità giuridica che tragga beneficio dalle HeLa senza condividere con i Lacks le decisioni etiche, e gli eventuali guadagni. Detto fatto: poche settimane dopo, è stata citata in giudizio la Ultragenyx Pharmaceutical, azienda californiana che studia farmaci per le terapie rare, e che da anni utilizza le HeLa in quantità massicce per indagare possibili terapie geniche e, in primo luogo, gli adenovirus necessari a veicolarle, come se fosse “una fattoria di mucche da latte”, secondo il commento degli avvocati.

Le HeLa cells non sono le uniche linee cellulari ottenute con modalità discutibili, e da persone che non hanno dato il consenso. Il caso più delicato, anche se meno noto al grande pubblico, è quello raccontato nel libro della giornalista della rivista Science Meredith Wadman nel 2016, intitolato The Vaccine Race: Science, Politics and the Human Costs of Defeating Disease, e risalente al 1962. In quell’anno non era ancora disponibile il vaccino contro il virus del morbillo, una malattia che arreca danni molto gravi ai feti, se contratta in gravidanza. Le donne che si ammalavano preferivano in molti casi abortire, nei Paesi dove era possibile. E così accadde a una donna svedese, chiamata Signora X, ma il suo feto non fu incenerito, come da prassi. Le cellule furono inviate prima al Karolinska Institutet di Stoccolma, e da lì a Filadelfia, dove all’Istituto Wistar furono poi purificate e messe in coltura, con il nome di WI-38 (da Wistar Institute). Quelle cellule permisero, due anni dopo, di arrivare a un vaccino sicuro ed efficace contro lo stesso morbillo, e negli anni successivi ai vaccini contro la poliomielite, la rosolia, la parotite, la varicella e l’herpes zoster, la rabbia, gli adenovirus e l’epatite B, tra gli altri. Le WI-38 sono tuttora usatissime, perché capaci di crescere indefinitamente, ma non tumorali come le HeLa. Anche se in questo caso le questioni legali delle HeLa non sussistono, perché le cellule sono state messe a disposizione di tutti e non sono tutelate da brevetti, vi sono altri evidenti dilemmi etici, mitigati solo in parte dal fatto che le WI-38 hanno inferto un colpo decisivo alla malattia dalla quale avevano avuto origine, il morbillo, causa dell’aborto. E non sono neppure l’unico caso: un’altra linea cellulare molto utilizzata è stata ottenuta dalle cellule fetali di polmone di un feto di tre mesi, abortito dalla madre nel 1966 per non meglio specificate motivazioni psichiatriche (una spiegazione inquietate, che a sua volta pone ulteriori interrogativi), e messe in coltura presso il Medical Research Council inglese, da cui il nome, MRC-5. Anche le MRC-5 sono state assolutamente fondamentali per studiare i vaccini contro le più diffuse malattie infettive. Per questo, nel 2017, uno dei ricercatori che avevano messo in coltura le WI-38, Leonard Hayflick, ha quantificato le infezioni evitate grazie a quelle cellule: 4,5 miliardi di contagi in meno, cui corrispondono 10,1 milioni di decessi evitati.

Oggi non sarebbe più possibile prelevare tessuti senza consenso, almeno non legalmente: in molti Paesi, tra i quali quelli dell’Unione Europea, è stata addirittura vietata, o fortemente limitata, la ricerca sui tessuti fetali. Ma se questo diritto è entrato nella prassi lo si deve anche all’emersione delle storie di Henrietta, della Signora X e della paziente psichiatrica inglese madre dei tessuti di MRC-5.
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(In alto, sotto il titolo, una foto di Henrietta Lacks nel soggiorno della casa di suo nipote Ron Lacks, a Baltimora (©  Photo by Jonathan Newton/The Washington Post via Getty Images)

Data ultimo aggiornamento 21 agosto 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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