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Ora spunta anche un farmaco
anti-reflusso gastroesofageo

di Agnese Codignola

Dopo i vecchi antimalarici clorochina e idrossiclorochina, un altro farmaco altrettanto noto e utilizzato da decenni, questa volta contro il reflusso gastroesofageo e l’ulcera, potrebbe trovare una collocazione in chiave anti Covid-19: la famotidina. In uso per limitare la secrezione di acido dallo stomaco e le patologie a essa collegate, la molecola agisce bloccando i recettori dell’istamina H2. Ma, forse, inibisce anche un’altra proteina, un enzima assolutamente vitale per il Sars-CoV-2 (il coronavirus responsabile del Covid-19), e per questo potrebbe entrare a far parte dei farmaci utilizzati contro di esso. 

L’idea, come racconta la rivista Science in un lungo articolo che ricostruisce tutta la vicenda, è venuta a Michael Callahan del Massachusetts General Hospital di Boston (Stati Uniti), un medico da sempre impegnato a capire le epidemie e gli spillover (cioè i salti di specie dei virus, dagli animali agli uomini) recandosi in loco, e per questo motivo accorso in Cina in gennaio, a Najing, come aveva già fatto nel 2003 per la SARS. Esaminando le cartelle di oltre 6.200 persone decedute, i medici cinesi e l’esperto americano si sono accorti di un dato piuttosto evidente: tra coloro che, afflitti da un reflusso cronico, assumevano regolarmente famotidina prima del contagio (ma non un medicinale della classe farmacologica alternativa più popolare, un inibitore della pompa protonica) la mortalità era stata del 14%, mentre tra chi non la assumeva era stata del 27%. Una differenza molto rilevante, anche se non corretta statisticamente, ma basata sulle sole cartelle cliniche.
Tornato a casa, Callahan ne aveva parlato con la U.S. Biomedical Advanced Research and Development Authority, il BARDA, e con Robert Malone della Alchem Laboratories Corporation, un esperto di quello che viene chiamato Repositioning, cioè lo studio di farmaci già esistenti per indicazioni diverse da quelle approvate, in base a dati strutturali, di base e clinici. Malone, che stava studiando un enzima del Sars-Cov2 chiamato proteasi simile alla papaina, aveva coinvolto un esperto di una company canadese di modelli biologici al computer, e insieme avevano iniziato a confrontare la struttura dell’enzima nel coronavirus della SARS, visto che la struttura completa, tridimensionale dell’omologo del Sars-CoV-2 non è stata ancora determinata (e ci vorranno mesi prima che sia disponibile). Avevano tenuto conto anche delle differenze nel genoma dei due coronavirus e alla fine, tra 2.600 possibili composti verificati, la famotidina era rimasta tra le più probabili, insieme ad altre due, come inibitore specifico di quell’enzima.

I dati clinici, uniti a questa scoperta, hanno convinto Callahan - che però è stato prudente, così come lo sono stati i responsabili della sperimentazione clinica di Northwell Health, un ospedale di New York dove si era deciso di condurre lo studio clinico, perché avevano visto che cosa era successo dopo che il presidente Trump aveva parlato bene della clorochina e dell’idrossiclorochina: corsa all’accaparramento e difficoltà a reperirne tanto per scopi terapeutici (per il lupus e le altre malattie autoimmuni) quanto di studio. 

La famotidina è disponibile anche come farmaco generico e costa poco, ma è quasi sempre assunta per via orale. Callahan aveva bisogno di una formulazione infusionale (per via endovenosa), perché voleva somministrarne alte dosi ai pazienti, e per questo, prima di parlare del suo studio, dopo aver ricevuto il via libera da parte della Food and Drug Administration (l’autorità statunitense di vigilanza sui farmaci) e dopo aver ottenuto 20,7 milioni di dollari dal BARDA, si è procurato un quantitativo sufficiente di famotidina liquida. A quel punto ha iniziato a reclutare i malati, dovendo affrontare, però, un ostacolo: vista la fiducia nell’idrossiclorochina, al momento è difficilissimo trovare negli Stati Uniti pazienti con il Covid-19 ospedalizzati che non ne assumano. Per questo ha ideato uno studio in cui il gruppo di controllo assume solo idrossiclorochina, quello di trattamento la stessa più famotidina (a un dosaggio che è nove volte superiore a quello consigliato contro il reflusso): uno schema non ideale, ma obbligato se si vogliono ottenere dati in tempi rapidi. In più, altri dati utili ai confronti saranno ricavati tra quelli degli utilizzatori di famotidina degli ultimi anni, ovvero migliaia di persone. In totale dovrebbero partecipare oltre 1.100 pazienti ricoverati, alcuni dei quali in ventilazione assistita, ma fino a quando non ci saranno i dati di circa 400 di essi non sarà reso noto alcun commento. 

Per ora ci sono diversi report di guarigioni aneddotiche, riferite da medici americani alla stessa Science, che sembrano indicare nettissimi miglioramenti in seguito all’assunzione del farmaco, e c’è una pubblicazione scientifica dei protagonisti di questa vicenda sotto revisione presso gli Annals of Internal Medicine, una delle più quotate riviste di medicina del mondo. I primi dati dovrebbero arrivare entro poche settimane.

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Nella foto (© National Institutes of Health), il momento in cui il coronavirus si duplica

Data ultimo aggiornamento 28 aprile 2020
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Vedi anche: 
Il remdesivir funziona davvero contro Covid: prime conferme
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Tags: coronavirus, Covid-19



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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