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L’esposizione ai pesticidi fa aumentare
il rischio di tumori dell’utero e di Parkinson

L’assunzione di pesticidi potrebbe essere collegata a un aumento del rischio di sviluppare un tumore dell’endometrio e modificare alcuni geni fino a favorire l’insorgenza dle morbo di Parkinson.

L’esistenza di un nesso con i tumori uterini è stata suggerita da uno studio appena pubblicato su Environmental Health Perspective dai ricercatori dell’Università di Grenada, in Spagna, che hanno verificato la concentrazione, nel plasma, di alcune miscele dei più comuni pesticidi in 156 donne con tumore dell’endometrio e in 150 che non lo avevano. I numeri hanno fatto emergere una relazione in due fasi, che ricorda molto da vicino ciò che accade di solito in questi tumori, sensibili alla concentrazione di estrogeni: il rapporto è molto evidente per dosi medie, mentre è meno forte per dosi più elevate.

Questo non stupisce, dal momento che gran parte dei pesticidi è composta da sostanze che sono definite distruttori o perturbanti endocrini o, anche, xenoestrogeni, cioè estrogeni provenienti dall’esterno. Queste molecole, presenti in un’infinità di prodotti di uso quotidiano, compresi i cosmetici e le plastiche per alimenti, hanno una struttura che assomiglia a quella degli ormoni naturali, e per questo l’organismo, di fronte a essi, ha reazioni complesse, che danno però tutte, come esito finale, un’alterazione dei normali equilibri ormonali. E poiché i tumori dell’utero, così come parte di quelli della mammella, dipendono dalle concentrazioni di estrogeni, un legame con andamento a più fasi è quanto ci si dovrebbe attendere, ed è quanto è stato confermato dai ricercatori spagnoli.

Ora lo studio prosegue anche per vedere che cosa succede nelle donne che hanno già un tumore e che, per motivi vari, assumono pesticidi, e per approfondire altri aspetti. Nel frattempo, per quanto possibile, sarebbe sempre bene evitare di assumere pesticidi, per esempio consumando prodotti biologici.

Per quanto riguarda il Parkinson, il legame è noto da tempo, ma ora uno studio pubblicato sulla rivista del gruppo Nature npj Parkinson Disease ne chiarisce i dettagli. In esso è stato analizzatro il genoma di 800 persone che, dopo aver vissuto tutta la vita nella Central Valley della California, zona a elavatissima concenetrazione di attività agricole, ed essere state quindi esposte ad almeno dieci tra i più comuni pesticidi per molti anni (fino dagli anni settanta), avevano sviluppato la malattia. Secondo quanto emerso, i pesticidi modificherebbero alcuni geni responsabili dei sistemi di smaltimento dei rifiuti cellulari, rendendoli meno efficienti. Ma i rifiuti, accumulandosi, innescherebbero la neurodegenerazione che porta al Parkinson. I geni coinvolti sono varianti non molto comuni, e si trovano quindi in una minoranza di persone, che sarebebro molto più a rischio di altre in caso di esposizione prolungata. Tuttavia, lo studio conferma quanto già visto anche in altre forme di neurodegenerazione come l’Alzheimer, e cioè che in queste malattie ciò che non va è proprio l’eliminazione delle molecole tossiche, e che tra queste, con ogni probabilità, ci sono diversi tipi di pesticidi.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 20 maggio 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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