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Praticare lo yoga regolarmente può aiutare
un cuore colpito da scompenso a recuperare

Chi soffre di uno scompenso cardiaco (64 milioni di persone nel mondo) dovrebbe praticare lo yoga, perché l’antica disciplina indiana aiuta a rafforzare il muscolo cardiaco, a migliorare la respirazione, a contrastare la depressione, e ha effetti che si prolungano nel tempo.

Le potenzialità dello yoga classico, che prevede esercizio, meditazione, rilassamento e respirazione, sono state confermate in uno studio al recente congresso Heart Failure 2024, meeting nell’ambito degli incontri organizzati dalla European Society of Cardiology, svoltosi a Lisbona, in Portogallo, dai ricercatori dell’Indian Council of Medical Research di Manipal, in India.

In esso 85 pazienti con scompenso di età compresa tra i 30 e i 70 anni, tutti con qualche evento cardiaco che aveva richiesto una procedura nei sei-12 mesi precedenti, ma senza sintomi troppo debilitanti (in quel caso i pazienti erano stati esclusi), tutti in terapia con farmaci contro lo scompenso, sono stati invitati a seguire una pratica yogica guidata da maestri qualificati, oppure nessuna pratica, mentre continuavano a seguire le cure prescritte. Dopo una prima fase in ospedale, i partecipanti del gruppo dello yoga sono stati invitati a praticare a casa una volta alla settimana per 50 minuti, e a parlare con l’istruttore subito dopo ciascuna sessione. Nel frattempo, i cardiologi hanno controllato la funzionalità cardiaca all’inizio, e poi a sei mesi e a un anno, attraverso l’ecocardiografia. I risultati hanno mostrato che tutti i parametri analizzati (da quelli che misurano la funzionalità di pompa del cuore fino a battiti, frequenza, pressione sanguigna, peso, indice di massa corporeo e altri) sono risultati migliori in chi praticava yoga, sia a sei mesi che a un anno. I benefici sono quindi duraturi, soprattutto se si continua a praticare. La conclusione è che chi non ha uno scompenso troppo grave, dopo aver consultato il proprio medico, senza interrompere le proprie terapie, e sotto la guida di insegnanti qualificati dovrebbe praticare lo yoga, perché il cuore ne trae un chiaro beneficio e questo, a sua volta, migliora anche l’effetto dei farmaci, e rende le normali attività quotidiane meno difficili da espletare, migliorando la qualità di vita.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 17 maggio 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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