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Nello spazio, per mantenere giovani ossa
e articolazioni, si dovrebbe sempre saltare

Per mantenere il più possibile le cartilagini integre, gli astronauti dovrebbero saltare, più che sottoporsi ad altri esercizi. Uno studio pubblicato sulla rivista del gruppo Nature npj Microgravity da un team internazionale di ricercatori coordinati dall’italiano Marco Chiaberge, in forza all’Agenzia Spaziale Europea e ora alla Johns Hopkins University di Baltimora, ha mostrato infatti risultati inattesi e superiori alle aspettative ottenuti sui modelli animali educati a saltare, che potrebbero modificare gli allenamenti previsti prima della partenza e durante la permanenza nella Stazione Spaziale Internazionale (ISS) e nei veicoli spaziali.

La permanenza in condizioni di microgravità e di restrizione fisica come quelle dell’ISS si fa sentire pesantemente su ossa, cartilagini e articolazioni, che subiscono anche l’effetto delle radiazioni cosmiche. Il logoramento accelerato può rappresentare un serio problema per la stessa missione: un astronauta con l’artrosi al ginocchio o all’anca non può svolgere al meglio i suoi compiti, comprese le operazioni al di fuori dell’ISS. Per tale motivo di solito gli astronauti si sottopongono a una lunga preparazione specifica prima di partire e poi a due ore (in media) di esercizi giornalieri con strumenti appositi, che prevedono quasi sempre un tapis roulant per tenere le cartilagini elastiche. Ma presto tutto potrebbe cambiare.

Nei test effettuati, i topi sono stati mantenuti nove settimane in condizioni simili a quelle di un veicolo spaziale, anche se in gravità normale. Tutte le misurazioni effettuate hanno mostrato il danno alle cartilagini, il cui spessore era diminuito, in media, del 14%. Tuttavia, gli animali che erano stati allenati a saltare, non solo non hanno riportato i danni dei controlli, ma hanno migliorato sensibilmente lo spessore delle cartilagini, in media del 26%: un risultato al di sopra delle aspettative. Rispetto agli animali di controllo, quelli che avevano saltato avevano uno spessore più che doppio (+110%). Inoltre, saltare ha fatto bene anche alle loro ossa: la tibia era il 15% più densa, e anche le ossa che assorbono il colpo del salto, dette trabecolari, stavano meglio.

Resta da capire se i salti esercitino gli stessi benefici anche sugli uomini, ma non ci sono ragioni per pensare che non sia così. Se arriveranno conferme, bisognerà stabilire quale sia il protocollo migliore per gli astronauti (quanti salti, per quanto tempo, di che entità e così via). E’ però già evidente che questo studio, tra i primissimi incentrati sulla cartilagine, potrebbe avere importanti ripercussioni anche sulla Terra, per aiutare tutte le persone che soffrono le conseguenze del logoramento delle cartilagini, con esercizi dedicati e strumentazioni progettate ad hoc.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 6 marzo 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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