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Nel Mediterraneo la focaccia è cucinata
e apprezzata da almeno novemila anni

Sono almeno 9.000 anni che gli abitanti dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo preparano focacce con farine di cereali, aromatizzate in vari modi e cotte al forno. La focaccia, un impasto di farina, acqua e grassi (ai quali sono stati aggiunti, nei secoli, in alcune culture, il lievito e il sale), sarebbe infatti stata già al centro dell’alimentazione del Tardo Neolitico, periodo compreso tra il 7.000 e il 5.000 a.C. Lo dimostra un’indagine molto accurata, effettuata su alcuni reperti trovati ai confini tra Turchia e Siria, in tre diversi siti, Mezraa Teleilat, Akarçay Tepe e Tell Sabi e studiati dagli archeologi dell’università di Lione insieme a quelli de La Sapienza di Roma.

Come riportato su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature, la ricostruzione è avvenuta studiando i cosiddetti vassoi di sbramatura, ossia contenitori a base ovale larga, con pareti basse, realizzati in argilla grossolana, che si differenziavano dai comuni vassoi per la loro superficie interna, contrassegnata da incisioni e scanalature disposte in modo ripetitivo e regolare. Ricostruendone alcuni, e usandoli come avrebbe fatto un uomo del Neolitico, i ricercatori hanno dimostrato che la loro avrebbe potuto essere quella di recipienti per la cottura in forno di forme di focaccia piuttosto grandi, in media da circa 3 kg ciascuna, da usare per preparare focaccia per la comunità. I test successivi hanno poi confermato l’ipotesi, grazie alle analisi sui diversi tipi di reperti. Gli impasti erano posti forni a cupola a 420°C per circa 2 ore, i rilievi e le scanalature poste ineterne servivano per facilitare la rimozione del pane una volta cotto.

I ricercatori hanno anche scoperto che esistevano diverse ricette, con assortimenti variabili di farine di cereali come orzo o frumento macinati, acqua, grassi animali, condimenti vegetali ed erbe.  Le grandi focacce probabilmente erano preparate per tutta la comunità.

 

 

A.B.
Data ultimo aggiornamento 13 dicembre 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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