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"Nature": così gli anticorpi monoclonali riescono a frenare le cellule tumorali


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Come funzionano gli anticorpi monoclonaliGli anticorpi monoclonali sono anticorpi del tutto simili a quelli che il sistema immunitario produce contro i “nemici” (batteri, virus e altro ancora), ma non sono presenti in modo naturale nel nostro organismo. Vengono creati in laboratorio, grazie a tecniche di ingegneria genetica, e sono mirati contro un preciso bersaglio della malattia, identificato dai ricercatori: per esempio, nel caso del Covid, contro la proteina Spike, utilizzata dal coronavirus per entrare nelle cellule e infettarle. Una volta prodotti, vengono fatti moltiplicare in laboratorio, identici, in un numero grandissimo di copie, o di cloni (per questo vengono chiamati monoclonali), e poi immessi nell’organismo del paziente, in genere tramite infusione (endovena)., protagonisti dei nuovi, importanti trattamenti immunoterapici contro i tumori? Questi anticorpi, che l’organismo non è in grado di produrre da solo (vengono creati grazie a tecniche di ingegneria genetica), riescono a legarsi a recettori (in pratica, a proteine) che sono presenti solo sulle cellule tumorali, e in questo modo avviano la loro distruzione. Oppure, più frequentemente, raggiungono e disattivano i cosiddetti checkpoint inhibitors: molecole (una delle principali si chiama PD-1) che si trovano sulla parete esterna dei linfociti T ("poliziotti" particolarmente agguerriti) e vengono utilizzati normalmente dall’organismo per frenare la loro attività, quando è eccessiva e si riversa anche, per errore, contro le cellule sane dell’organismo (scatenando le malattie autoimmuni). Il problema è che anche le cellule tumorali "sanno" (per motivi ancora in parte misteriosi) che il recettore PD-1 può spegnere l’attività dei linfociti e dunque cercano in ogni modo di attivarlo, per avere poi il campo libero. Ma se trovano il recettore "occupato" dall’anticorpo monoclonale, non riescono nel loro intento.

Questi meccanismi sono raccontati molto bene in una videoanimazione realizzata dalla rivista Nature Immunology. Potete guardarla cliccando qui.

Il testo è in inglese e, per aiutare i nostri utenti che non conoscono bene questa lingua, abbiamo preparato una traduzione in italiano. Eccola:

Quando si tratta di curare le malattie come il cancro, la medicina moderna possiede un arsenale importante. Una delle armi più efficaci è costituita da proteine a forma di Y, chiamate anticorpi monoclonali.
Il nostro sistema immunitario già produce i propri anticorpi in miliardi di varianti: ognuna corrisponde a un bersaglio specifico, come una particolare tossina, un batterio o un virus. Quando si legano al loro bersaglio, gli anticorpi mandano un segnale alle altre cellule del sistema immunitario, che si mobilitano, e il batterio o il virus - a quel punto - sono destinati alla distruzione.
La produzione spontanea di anticorpi è molto efficace, ma nel 1970 gli scienziati hanno scoperto come "replicarli" in grandi quantità. Ormai è possibile prendere qualsiasi anticorpo specifico e realizzare un numero di cloni identici per quasi tutte le malattie esistenti: sono questi gli anticorpi monoclonali. 

E adesso arriviamo al cancro… Cellule mutate che crescono fuori controllo possono portare l’organismo alla morte, ma il sistema immunitario non è indifeso. In particolare, i linfociti T citotossici (Cytotoxic T Lymphocytes, in sigla: CTL)  riescono a individuare le cellule infettate o mutate (come quelle tumorali) e, quando ne trovano una, rilasciano molecole tossiche che attivano un processo di auto-distruzione in queste cellule.

Ma a volte è necessario frenare l’attività dei linfociti T citotossici, quando esagerano, perché possono provocare danni collaterali attaccando, per errore, anche cellule sane. Per fortuna esiste il modo di “spegnere” i CTL, mediante l’attivazione di una molecola chiamata PD-1. 

Il problema, però, è che quando i CTL vengono bloccati, le cellule cancerose possono approfittarne. Per spegnere questi "poliziotti", molte cellule tumorali utilizzano un contro-recettore chiamato PD-L1, che si lega al PD-1. È proprio a questo punto che entrano in gioco gli anticorpi monoclonali. Per bloccare i sabotaggi delle cellule tumorali, gli scienziati hanno fondamentalmente due possibilità: utilizzare un anticorpo monoclonale che si lega alla molecola PD-1 (sul linfocita T citotossico) e la “nasconde”, oppure usare anticorpi che bloccano la PD-L1, direttamente sulla cellula tumorale.  

Grazie agli anticorpi monoclonali, i linfociti T citotossici restano completamente attivi e dunque sono in grado di contrastare con efficacia le cellule tumorali. In questo modo, il cancro può essere sconfitto. 

L’efficacia degli anticorpi monoclonali è stata dimostrata contro una vasta gamma di tumori, e numerosi studi sono in corso nel mondo per svilupparne di nuovi. Grazie alla possibilità, per i ricercatori, di programmarli verso bersagli molto specifici, gli anticorpi monoclonali stanno diventando importanti per cambiare le “regole del gioco”: una delle nostre armi più efficaci nella battaglia contro il cancro. 


Data ultimo aggiornamento 10 agosto 2017
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: ingegneria genetica



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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