INFLIXIMAB
Mutazione del DNA blocca
i farmaci contro il Crohn

Le persone con la malattia di Crohn o con la colite ulcerativa, due patologie infiammatorie croniche dell’intestino di origine autoimmune, quando non rispondono più ad altre cure vengono spesso trattati con uno tra due anticorpi monoclonaliGli anticorpi monoclonali sono anticorpi del tutto simili a quelli che il sistema immunitario produce contro i “nemici” (batteri, virus e altro ancora), ma non sono presenti in modo naturale nel nostro organismo. Vengono creati in laboratorio, grazie a tecniche di ingegneria genetica, e sono mirati contro un preciso bersaglio della malattia, identificato dai ricercatori: per esempio, nel caso del Covid, contro la proteina Spike, utilizzata dal coronavirus per entrare nelle cellule e infettarle. Una volta prodotti, vengono fatti moltiplicare in laboratorio, identici, in un numero grandissimo di copie, o di cloni (per questo vengono chiamati monoclonali), e poi immessi nell’organismo del paziente, in genere tramite infusione (endovena). chiamati infliximab e adalimumab, che hanno come bersaglio la molecola infiammatoria chiamata Fattore di Necrosi Tumorale alfa o TNF alfa, responsabile della reazione infiammatoria insieme ad altre molecole dello stesso tipo. Purtroppo, però, una parte di questi pazienti non risponde neppure a tali terapie o, nel tempo, diventa resistente. Finora non era chiaro perché ciò accadesse, ma ora uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Gastroenterology (https://www.gastrojournal.org/article/S0016-5085(19)41414-5/abstract) fornisce una spiegazione e, implicitamente, gli strumenti per selezionare i pazienti ed evitare di somministrare loro cure costose, non prive di effetti collaterali e poco utili, quando non dannose. Nell’ambito dello studio gli immunologi e gastroenterologi di diversi centri britannici coordinati dall’Università di Exeter (https://www.exeter.ac.uk/news/research/title_756823_en.html) hanno controllato il codice genetico di 1.240 pazienti in cura presso 120 centri di tutta la Gran Bretagna, con un impiego di risorse e di impegno mai visto prima. Il risultato ha premiato gli sforzi, perché si è accertato chiaramente che il 40% dei malati ha una mutazione chiamata HLA-DQA1*05 che predispone alla reazione contro infliximab e adalimumab. In particolare, le persone che possiedono questa mutazione hanno un rischio doppio rispetto agli altri di scatenare una risposta contro i due anticorpi monoclonali, che vengono ritenute molecole estranee all’organismo (anche se sono prodotte in modo tale da ridurre al minimo questo rischio) e possono a loro volta suscitare una reazione immunitaria. Quest’ultima neutralizza il loro possibile effetto terapeutico e talvolta causa effetti collaterali dovuti proprio alla reazione.
La mutazione è presente nel 40% degli europei. Per questi pazienti si stanno studiando nuovi schemi terapeutici.
A.C.
Data ultimo aggiornamento 26 ottobre 2019
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