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Le autorità romane consigliavano due anni di allattamento. Ma non tutti obbedivano

Anche i Romani fornivano indicazioni per l’allattamento, che doveva essere protratto per i primi due anni di vita dei bambini. Ma non tutti i sudditi dell’Impero seguivano le linee guida: molto dipendeva dalla loro vicinanza geografica con Roma o, comunque, con le grandi città. Fatto che dimostra come, anche allora, le istituzioni che si occupavano di salute pubblica e, in modo specifico, di gravidanza e prima infanzia, erano diffuse nei centri urbani, ma molto meno presenti nelle periferie e nei luoghi più lontani del vasto dominio, dove le informazioni stentavano ad arrivare.

L’adesione al consiglio di allattare fino ai due ani è stata studiata da un team internazionale di archeologi e genetisti, la maggior parte dei quali di università e centri studi archeologici italiani (il coordinamento è stato del Mediterranean bioArchaeological Research Advances (MAReA) centre dell’Università degli studi della Campania Luigi Vanvitelli di Caserta), analizzando la dentina, cioè la parte interna del dente, che accumula in modo del tutto specifico i diversi isotopi (le forme radioattive degli elementi chimici) associati al cibo in una serie di denti scoperti in diversi luoghi d’Europa. Nell’allattamento, il rapporto tra due tipi di azoto – il 14 e il 15 - è unico, e ciò consente di capire per quanto tempo una persona ha assunto il latte, e quando invece è passata ad altri alimenti quali i cereali, anch’essi analizzati. Come riferito su PNAS Nexus, in totale sono stati studiati cinque molari di Bainessee (Gran Bretagna), 30 di Tessalonicco (Grecia), quattro di Pompei (Italia) e sei di Ostia (Italia), e il risultato è stato un’estrema variabilità tra i tempi di allattamento, che variavano da 1,5 a cinque anni. Nei centri urbani come Tessalonicco e Pompei, la durata era in media quella indicata dalle autorità, e cioè circa due anni, mentre via via che ci si allontanava, la durata diventava più variabile. E questo dimostra, secondo gli autori, la corrispondenza tra distanza dai centri più importanti e una minor rispetto di quanto previsto dalle autorità anche a livello sanitario. E conferma anche l’esistenza di abitudini alimentari diverse a seconda del clima del paese.

Del resto, che nelle periferie dell’Impero non tutto fosse sotto controllo lo dimostra anche un altro studio uscito in questi giorni, di tutt’altro argomento: la delinquenza e le rivolte contro i governatori, in questo caso delle province dell’attuale Israele e Giordania. 

Come riferito su Tyche, la decifrazione di un antico papiro di straordinaria lunghezza – 133 righe - e importanza, chiamato Cotton, che ha coinvolto studiosi di diverse università europee e israeliane, mostra infatti i dettagli di un processo per frode fiscale su un commercio di schiavi, e racconta indirettamente di due importanti tentativi di rivoluzione, quella della diaspora ebraica (115-117 d.C.) e quella chiamata di Bar Kokhba (132–136 d. C.). Le righe sono gli appunti del pubblico ministero, seguiti da un breve verbale. I principali imputati, Gadalias e Saulos, erano imputati di frode e corruzione. Gadalias, figlio di un notaio e forse cittadino romano, aveva pesanti precedenti penali (violenza, estorsione, incitamento alla rivolta e contraffazione). Saulo, suo dipendente, aveva organizzato una finta vendita di schiavi (in realtà una liberazione) e vari traffici per non pagare le tasse dovute a Roma. Per coprire le loro attività, entrambi avevano falsificato i documenti, un reato che comportava i lavori forzati e talvolta la morte. Poiché i fatti si svolsero dopo la prima rivolta e subito prima della seconda, e durante una visita dell’imperatore Adriano (129-130 d.C) nella zona della seconda, i toni sono particolarmente accesi. Resta da capire il senso della liberazione degli schiavi, di certo non redditizia, ma forse legato ai doveri contenuti nella Bibbia, che obbligavano a liberare gli schiavi ebrei. Il documento getta nuova luce sul diritto romano delle province, ed è probabilmente il resoconto di un processo più completo mai ritrovato, dopo quello a Gesù.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 31 gennaio 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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