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Medicina di genere: attenta
alle differenze, per curare meglio

(Foto dell’agenzia iStock)

di Valeria Camia

Gender è un termine inglese che sta a indicare i comportamenti e i ruoli che società e cultura attribuiscono all’essere maschio oppure all’essere femmina. Così, quando nel 1991 l’ex-direttrice dei National Institutes of Health statunitensi, Bernadine Healy, utilizzò il riferimento al gender (in un articolo intitolato "La sindrome di Yentl”) per descrivere i sintomi specifici che le donne mostrano in caso di infarto, quella che si aprì fu la strada verso un’assistenza medica più personalizzata. Gli anglofoni la chiamano Gender Medicine. E, per essere chiari fin da subito, non stiamo parlando di medicina per le donne, ma di medicina attenta alle differenze, a partire da quelle delle classi svantaggiate - che per lungo tempo hanno occupato poca rilevanza nella ricerca e nelle valutazioni  mediche. 

 «Certamente nella storia le donne hanno costituito una significativa componente della popolazione svantaggiata, in quanto poco studiate nella ricerca clinica, ma anche meno favorite dal punto di vista economico e lavorativo» - spiega Annamaria Moretti, pneumologa e presidente nazionale della Società Scientifica GISeG (Gruppo Italiano Salute e Genere). La discriminazione che esse incontrano come pazienti si amplifica quando sono nere, asiatiche, indigene, latine o di altra etnia; quando il loro accesso ai servizi sanitari è limitato; e quando non si identificano con le norme di genere che la medicina attribuisce alla femminilità biologica. 

«Se, agli esordi, la Medicina di genere considerava solo la diversa espressione clinica delle malattie tra l’uomo e la donna, oggi - continua Annamaria Moretti - numerosi sono i parametri di interpretazione. La valutazione delle differenze di genere è strettamente correlata all’utilizzo di indicatori specifici, capaci di evidenziare le caratteristiche  delle malattie e l’esito delle stesse». Così, la considerazione degli indicatori biologici, quali sesso, età, etnia, comorbilità, è stata arricchita dalla valutazione dei cosiddetti indicatori di contesto, come il livello di istruzione e aspetti sociali, economici, culturali, o religiosi. 

OLTRE LA TRADUZIONE, UNA MEDICINA DELLE DIFFERENZE - È difficile tradurre il termine gender in italiano. Il genere, nella nostra lingua, è spesso usato come sinonimo di “sesso”, con riferimento  alle caratteristiche biologiche di una persona, come i cromosomi, gli organi genitali e gli ormoni. Inoltre, sempre più spesso parliamo di gender per riferirirci al modo in cui una persona si sente e si esprime in termini di maschio, femmina, non binario o altro. Oppure parliamo di ruolo di genere, pensando alle aspettative sociali e culturali associate al genere di una persona. O, ancora, sentiamo usare l’espressione gender per indicare il modo in cui una persona manifesta il proprio genere attraverso l’abbigliamento, l’acconciatura, il comportamento e altri fattori.

In questo senso, la Medicina di genere si fonda sulla consapevolezza di come sia necessario sviluppare un approccio alla Medicina di precisione che tenga conto delle caratteristiche individuali di ogni paziente, garantendo cure più appropriate e personalizzate. «A tal fine - ricorda la dottoressa Moretti - di recente, nell’ambito dell’Osservatorio Nazionale di Medicina di Genere sono state intraprese numerose iniziative di comunicazione per la riconoscibilità della Medicina di genere e del suo corretto significato, inclusa la definizione di un logo specifico di proprietà del Ministero italiano della Salute».

PROMUOVERE NETWORK, RICERCA E FORMAZIONE - L’Italia è il primo Paese al mondo a essersi dotato di una normativa sulla Medicina di genere. In particolare, la legge 3/2018 prima, e il Piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere successivamente, hanno dato un contributo importante allo sviluppo nell’ambito delle conoscenze e delle applicazioni.
In Italia è anche presente, come dicevamo, un Osservatorio Nazionale sulla Medicina di Genere, gestito dall’Istituto Superiore di Sanità, con il compito di monitorare le azioni intraprese a livello nazionale, e di valutarne la congruità e l’appropriatezza.
«La pandemia causata dal virus Covid-19 - spiega Annamaria Moretti - ha rappresentato, inaspettatamente, un’occasione per evidenziare l’importanza della Medicina di genere nella definizione dei percorsi. Seppure il virus abbia colpito prevalentemente gli uomini in termini di morbilità e mortalità, e le donne in termini di long-Covid, gli esiti della malattia sono stati profondamente influenzati da fattori non strettamente biologici, ma legati al contesto socio-sanitario in cui i pazienti vivevano: organizzazione territoriale (numero di ospedali con competenze specialistiche, numero idoneo di posti letto, disponibilità di personale sanitario numericamente e professionalmente formato, attivazione delle Unità Speciali di Continuità Assistenziale) e accesso a tecnologie avanzate (disponibilità di ventilatori e di altre attrezzature per fornire supporto vitale a pazienti con gravi insufficienze respiratorie). Sappiamo che l’impatto della malattia è stato differente sia nelle singole regioni italiane (Nord-Sud), che in altri Paesi con un diverso tenore di sviluppo, ma non sappiamo ancora se le cause determinanti siano riferibili alla differente realtà geografica e climatica, o a problematiche organizzative sanitarie».

LA MEDICINA DI GENERE NELL’ERA DIGITALE - In un mondo sempre più digitale, l’intelligenza artificiale e le altre tecnologie rappresentano strumenti importanti che la Medicina di genere può utilizzare, offrendo la possibilità di strutturare percorsi personalizzati e facilitare la comunicazione con i pazienti. Le tecnologie disponibili incidono nel produrre significativi cambiamenti, in particolare attraverso il monitoraggio continuo delle persone in tutti i momenti della loro vita. Valutare i dati disaggregati secondo indicatori specifici rappresenta un’importante fonte di informazione per orientare la ricerca e le scelte organizzative sanitarie. In questa ottica l’ambito della comunicazione costituisce una sfida centrale (se ne è parlato anche lo scorso 3 luglio a Roma in occasione dell’evento “Medicina di Genere: attualità e prospettive”).

Data ultimo aggiornamento 9 agosto 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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