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Gravidanza possibile anche con il lupus

Dal congresso della Lega Europea contro le Malattie Reumatiche arrivano le raccomandazioni per le donne con il LES (lupus eritematoso sistemico), che desiderano avere un figlio. Intervista all’immunologo Gianluca Vanini

Il lupus eritematoso sistemico (LES) è una malattia autoimmune cronica che colpisce le donne in misura dieci volte superiore agli uomini e, di norma, insorge in età giovanile fra i 20 e i 30 anni. Questi dati sono stati confermati all’ultimo congresso annuale della Lega Europea contro le Malattie Reumatiche (European League Against Rheumatism, EULAR), a Roma, durante il quale si è parlato anche delle possibili complicazioni che la malattia può scatenare durante la gravidanza, e delle precauzioni da seguire per ridurre i rischi e supportare una gestazione sana.

Il LES può interessare ogni organo, dal fegato alla pelle, passando per il rene, ma anche le articolazioni, esponendo le donne che ne soffrono al rischio di sviluppare gravi complicazioni durante la gravidanza, con inevitabili conseguenze sulla vita del feto. «Le donne spesso sviluppano queste condizioni prima di avere figli – spiega Gianluca Vanini, viceprimario di medicina interna all’ospedale Regionale di Lugano. – Ecco perché è importante il supporto alle pazienti che intendono pianificare una gravidanza, mettendole al corrente del rischio in relazione all’attività della malattia e all’assunzione di farmaci».

LE DONNE CON IL LES POSSONO AVERE FIGLI? - «Se fino a metà degli anni ’80 la risposta era inappellabile: niente bambini per le donne affette da LES, poi il discorso è cambiato - spiega Vanini. - Oggi le donne con lupus portano a termine con successo la gravidanza, a patto che sia programmata e seguita da un team multidisciplinare competente (ematologo, immunologo, ostetrico, ginecologo). Ricordiamo, infatti, che la gestazione può condurre a un aggravamento della malattia o a una sua ripresa. In linea generale, la gravidanza va sconsigliata nei casi in cui la malattia sia molto “attiva”».

IL LUPUS IN GRAVIDANZA - In passato si è spesso associata la gravidanza a una riacutizzazione della malattia. Oggi questa evenienza è meno frequente e in un 10% circa delle pazienti si può addirittura assistere a un miglioramento dei sintomi. «L’eventuale riattivazione della malattia è, nella maggior parte dei casi, di modesta entità e controllabile con la terapia - precisa Vanini. - I periodi nei quali sono più frequenti le riacutizzazioni sono il primo e il secondo trimestre di gestazione o i due mesi successivi al parto (puerperio)».

I FARMACI DANNEGGIANO IL FETO? - «Oggi è possibile curare il LES anche durante la gravidanza, senza nuocere al feto - dice Vanini. - La maggior parte dei medicinali che curano il lupus, infatti, sono già stati sperimentati positivamente e possono essere assunti secondo la prescrizione del reumatologo. Il cortisone rappresenta uno dei farmaci principali. Tale medicinale, se utilizzato a basso dosaggio, non provoca, di norma, né malformazioni, né alterazioni della crescita del feto. Lo stesso discorso - continua Vanini - vale per l’aspirina, per i farmaci antinfiammatori e per gli antimalarici di sintesi (clorochina, idrossiclorochina) che, secondo gli studi più recenti, non provocano malformazioni. Anche un farmaco tradizionalmente considerato pericoloso, come l’azatioprina, se usato correttamente e sotto stretto controllo dello specialista reumatologo, può essere utilizzato nei casi più gravi, in cui la malattia richiederebbe dosi troppo elevate di corticosteroidi, con una certa tranquillità. In ogni caso - aggiunge Vanini - è molto importante non interrompere di propria iniziativa la terapia e non assumere mai dei farmaci liberamente senza aver consultato il proprio specialista».

IL RISCHIO DI ABORTO - Nelle pazienti affette da LES esiste un’aumentata incidenza di aborti spontanei, di solito intorno al terzo mese. Le ricerche sulle cause di questa complicanza hanno individuato particolari anticorpi, gli anticorpi antifosfolipidi (anticardiolipina e lupus anticoagulant), che, provocando la formazione di trombi nei vasi sanguigni, in particolare in quelli della placenta, ostacolerebbero l’afflusso di sangue al feto, causando un ritardo dell’accrescimento dell’embrione e nei casi più gravi l’aborto. La terapia ha compiuto enormi progressi in questi ultimi anni e l’aspirina e l’eparina costituiscono oggi dei presidi terapeutici molto efficaci. Uno stretto controllo della gestante da parte dello specialista potrà inoltre contribuire a ridurre al minimo il rischio di aborto.

PARTO NATURALE O CESAREO? - Il parto potrà essere normale o cesareo secondo le diverse circostanze di fronte alle quali l’ostetrico si troverà. Nelle pazienti affette da LES è possibile che il parto sia pretermine (cioè prima del compimento della 37a settimana di gravidanza); tuttavia,se avviene dopo la 30a settimana, come nella stragrande maggioranza dei casi, la prognosi per il nascituro è buona, sia a breve che a lungo termine.

IL BAMBINO POTRA’ ESSERE ALLATTATO AL SENO? - Se si stanno assumendo farmaci, è buona norma non allattare il bambino al seno; in ogni caso sarà sempre necessario consultare il medico di fiducia.

 

Ma cos’è esattamente il lupus eritematoso sistemico? Cosa lo determina, come si riconosce e come si cura?

L’ORIGINE DEL NOME - Per alcuni secoli, la parola “lupus” è stata usata per indicare malattie ulcerative della pelle che portavano col tempo alla formazione di cicatrici simili a quelle prodotte dal morso del lupo. In seguito il termine è stato associato all’aggettivo “eritematoso” per descrivere il colore rossastro delle manifestazioni cutanee e per distinguerlo da altre malattie dermatologiche. Infine, con l’aggiunta dell’aggettivo “sistemico” si è voluto indicare quella particolare patologia in cui oltre alle manifestazioni cutanee sono presenti disturbi a carico di altri organi. Oggi si classificano come LES anche le forme cliniche senza impegno cutaneo.

LE CAUSE - Ad oggi non sono note. Si pensa che alla base dello sviluppo del lupus eritematoso sistemico ci siano più fattori di tipo ambientale (presenza di microrganismi e di certi tipi di virus) o individuale (cambiamenti ormonali, assunzione di alcuni tipi di farmaci, esposizione prolungata al sole o ai raggi UV). «Al fattore ormonale, in particolare, sarebbero proprio legate la maggiore incidenza della malattia nelle donne e le possibili riacutizzazioni durante la gravidanza e nel puerperio - spiega Gianluca Vanini. - Sembra, infatti, che siano gli ormoni sessuali femminili a modulare la risposta immunitaria con effetti stimolatori, mentre gli ormoni maschili hanno effetti inibitori, con un meccanismo d’azione ancora non chiarito». Il LES non è infettivo, non si trasmette quindi per contatto da persona a persona, e non basta “incontrare” un microorganismo o una sostanza tossica per sviluppare la malattia. «È indispensabile la predisposizione genetica» sottolinea Vanini.

NON È UNA MALATTIA EREDITARIA - Nelle patologie ereditarie i genitori trasmettono ai figli la malattia. «Nel lupus, invece, si ereditano solo alcuni geni che regolano la risposta immunitaria e la formazione di anticorpi - spiega Vanini. - Ciò vuol dire che i bambini nati da donne lupiche non ereditano la malattia, ma soltanto la predisposizione genetica ad ammalarsi. Per lo sviluppo del LES sarà dunque necessario l’intervento di altri fattori esterni, non del tutto noti. Tuttavia nel 5% circa dei bambini, nati da madri lupiche, possono comparire nei primi tre mesi di vita alcune manifestazioni della malattia, dovute al passaggio degli anticorpi (anti-Ro/SSA, anti-La/SSB) attraverso la placenta. Nella maggior parte dei casi si tratta di sintomi a carico della pelle (eruzioni cutanee) o riduzione di globuli rossi e piastrine. Queste manifestazioni sono transitorie e regrediscono nel giro di pochi mesi».

I SINTOMI - Manifestazioni cutanee (eritema a farfalla, subacuto, cronico), artrite, sierositi (pleurite e pericardite), alterazioni renali (glomerulonefrite) ed ematologiche (anemia emolitica, leucopenia, linfopenia, piastrinopenia) sono alcune delle manifestazioni che per frequenza o importanza sono considerate tipiche della malattia. Tuttavia il lupus può dare manifestazioni a carico di qualsiasi organo o apparato, e accompagnarsi a stanchezza cronica, dolori articolari e muscolari, emicrania, febbre, perdita di peso, ansia, depressione.

LA DIAGNOSI - Il LES, soprattutto in fase precoce, può essere difficile da riconoscere. Molte manifestazioni della malattia, infatti, sono assolutamente aspecifiche. Nel 1982 l’American College of Rheumatology (ACR) ha elaborato per la prima volta una serie di criteri per la classificazione del LES. In base a questi criteri, un paziente viene classificato come malato di LES se presenta almeno 4 dei seguenti 11 sintomi: eritema a farfalla, eritema discoide, fotosensibilità, ulcere orali, artrite, sierosite, glomerulonefrite, manifestazioni neurologiche (psicosi, convulsioni), alterazioni ematologiche, disordini immunologici, autoanticorpi antinucleari. Va però considerato che in presenza di un quadro clinico specifico, la diagnosi di LES è possibile anche se questi criteri non sono soddisfatti.

LE CURE - L’intervento terapeutico è diverso a seconda del quadro clinico. Le manifestazioni che non comportano particolari rischi per il paziente, quali quelle cutanee, articolari, l’infiammazione della pleura e del pericardio e la maggior parte delle alterazioni ematologiche, richiedono una terapia “leggera” con cortisone a dosi medio-basse e antimalarici di sintesi (idrossiclorochina). Le manifestazioni renali e neurologiche richiedono, invece, un intervento terapeutico più energico, a base di cortisone a dosi medio-alte e di farmaci immunosoppressori, per evitare complicanze permanenti.’

Data ultimo aggiornamento 20 luglio 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: gravidanza, les, lupus, malattie reumatiche, Ticino



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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