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Long Covid: la mancanza di fiato potrebbe
dipendere dalla cattiva qualità del sonno

Nel Long Covid, uno dei sintomi più frequenti è la mancanza di fiato, il respiro corto o dispnea, che colpisce quasi tutti coloro che sono vittime della sindrome post virale, anche se non hanno avuto, nelle fasi acute della malattia, né polmoniti né infiammazioni particolarmente gravi. Da tempo ci si chiede da che cosa sia causato questo specifico sintomo, e ora uno studio pubblicato su Lancet Respiratory Medicine, e nato nell’ambito del grande progetto britannico Phosp – da The Post hospitalization Covid 19 Study -, che coinvolge 38 centri di riferimento per la cura del Long Covid, e analizza le condizioni di persone ricoverate per Covid tra il 2020 e il 2021, suggerisce una risposta: l’origine potrebbe essere nella grave compromissione del sonno. In esso, infatti, è stata analizzata la qualità del sonno riferita da oltre 630 pazienti e quella di oltre 700 altri pazienti cui era stato fornito un dispositivo tipo smartwatch per il monitoraggio notturno. Si è così visto che il 62% di chi era stato ricoverato a causa del Covid mesi prima, aveva una chiara compromissione della qualità del sonno che durava da almeno 12 mesi, con un 19% in più di interruzioni rispetto al sonno di soggetti simili per età e condizioni di salute, anch’essi ricoverati per brevi periodi, ma non per Covid.

Secondo gli autori, dormire male avrebbe sia un effetto diretto, perché la stanchezza renderebbe più difficile effettuare respirazioni complete e profonde, sia indiretto, perché ciò genererebbe ansia e depressione, a loro volta causa di fiato corto. Migliorare la qualità del sonno potrebbe quindi avere conseguenze significative su uno dei principali disturbi associati al Long Covid.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 5 maggio 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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