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Long Covid e sindrome da fatigue cronica potrebbero essere la stessa malattia

Le prove continuano ad aumentare: il Long Covid, sindrome post virale che colpisce circa una persona su dieci, tra chi viene infettato da Sars-CoV 2, e i cui malati, nel mondo, sarebbero più di 100 milioni, presenta numerose sovrapposizioni con un’altra malattia altrettanto sfuggente, la sindrome da fatigue cronica/encefalomielite mialgica o ME/CSF, al punto che non è azzardato pensare che si tratti, in entrambi i casi, della stessa sindrome post virale, che si esprime con manifestazioni leggermente diverse a seconda di ciò che l’ha causata.

Il nesso è emerso in uno studio condotto dagli immunologi dell’Università dell’Otago di Dunedin, in Nuova Zelanda, nel quale è stato analizzato il profilo immunologico di sei persone con Long Covid e di cinque controlli con un approccio proteomico. Sono state verificate oltre 3.100 proteine e, come riportato su Scientific Reports, ciò che si è visto è che ce ne sono 162 regolate in modo diverso, tra pazienti e non. Di queste, 37 sono direttamente collegate al sistema immunitario e 21 alle funzioni dei mitocondri. Quindi, i risultati sono stati confrontati con la situazione di nove malati di ME/CSF, e in particolare rispetto alle 346 proteine già note per essere alterate nei malati di fatigue cronica. Il risultato è stato una sovrapposizione delle alterazioni tra le due condizioni, che suggerisce che le due sindromi siano solo varianti di una stessa reazione dell’organismo all’infezione, e della successiva incapacità del sistema immunitario di tornare alla normalità, con ripercussioni su tutti gli organi. Tutto ciò apre la strada a trattamenti comuni, che tendano a riequilibrare la reattività del sistema immunitario e che aiutino a superare i sintomi anche attraverso specifici regimi alimentari e sostegni quali quello delle terapie cognitivo-comportamentali. La speranza, ora, è che si proceda presto con specifici studi clinici su terapie mirate.

 

A.B.
Data ultimo aggiornamento 15 febbraio 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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