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Lo yoga utile per alleviare
il dolore e migliorare l’umore

di Agnese Codignola

Lo yoga, antica disciplina indiana sempre più popolare anche alle nostre latitudini, è un toccasana per i malati di artrite reumatoide e per coloro che soffrono di artrosi del ginocchio, perché aiuta a tenere elastiche le articolazioni, ad abbassare il dolore e a migliorare sensibilmente l’umore. Lo hanno dimostrato, in uno dei primi studi randomizzati e controllati mai condotti sull’argomento, i reumatologi della Johns Hopkins University di Baltimora (USA), che hanno pubblicato quanto osservato sul Journal of Rheumatology.

Nell’ambito della sperimentazione, 75 persone con l’artrite reumatoide o con l’artrosi del ginocchio (due patologie di origine molto diversa, ma simili nella sintomatologia) sono state invitate a seguire un corso bisettimanale di yoga per due mesi, seguìto da una settimana di pratica a casa, oppure a non fare nulla. Ai 75 volontari è stato anche chiesto di compilare un questionario che prendeva in considerazione tanto i parametri fisici quali la mobilità, il dolore e altri, quanto quelli psicologici relativi allo stress e al tono dell’umore. Si è così visto che, rispetto al gruppo di controllo (cioè al gruppo che non aveva fatto nulla), coloro che erano avevano seguito il corso di yoga riportavano un miglioramento medio del 20% nel dolore, nell’umore, nell’energia, nella forza muscolare, nella mobilità e nell’equilibrio, e che tali differenze erano ancora visibili dopo nove mesi.

Lo yoga unisce esercizi di stretching molto utili per le articolazioni a tecniche di respirazione e rilassamento: la combinazione, insieme al principio base, che è l’accettazione di sé e dei propri limiti, e i piccoli progressi quotidiani, rappresentano, secondo i ricercatori, un "assortimento" quasi ideale per chi soffre di dolori cronici e impedimenti alla mobilità, e può rappresentare un valido aiuto, complementare alle terapie mediche.’

Data ultimo aggiornamento 23 settembre 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: artrite reumatoide, stress



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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