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Lo screening per l’immunodeficienza SCID
può salvare la vita dei piccoli bambini-bolla

Lo screening neonatale per identificare prima possibile la presenza dell’immunodeficienza combinata grave o SCID, nota anche come malattia dei bambini-bolla, perché chi la sviluppa è costretto a vivere in camere sterili per il rischio di infezioni, fa una grande differenza sulle probabilità di sopravvivenza. Lo dimostra uno degli studi più importanti mai condotti sul tema, pubblicato su Lancet da esperti statunitensi e canadesi, che hanno analizzato i dati di oltre 900 bambini nati con la SCID negli ultimi 36 anni e, in particolare, ciò che è successo da quando, in Nord America, è stato introdotto lo screening neonatale.

La malattia è causata da un difetto genetico, e inizialmente i neonati sembrano del tutto sani. Nel giro di poche settimane, però, iniziano a manifestare un’eccessiva suscettibilità alle infezioni, e a quel punto, di solito, viene fatta la diagnosi. Quando però il piccolo ha già avuto qualche infezione, e la maturazione del suo sistema immunitario deficitario procede, è molto più difficile intervenire con un trapianto di midollo, o una terapia genica o, ancora, con una cura enzimatica (questi i tre approcci cui si ricorre in questi casi) sperando di avere successo. Se invece la diagnosi arriva nelle prime ore o giorni di vita, la situazione cambia radicalmente.

Lo screening, in America del Nord, è stato introdotto su base volontaria nel 2008; all’epoca, la sopravvivenza a cinque anni, già dal 1982 (anno delle prime rilevazioni sistematiche) era fissa al 73%. Dopo quel momento, invece, è salita gradualmente fino all’87%, tra il 2010 e il 2018. Inoltre, si è visto che, se la diagnosi arriva entro poche ore dalla nascita, la stessa sale al 92,5%, mentre scende drasticamente se arriva con le prime manifestazioni cliniche.

Dal 2018, tutti gli stati degli Stati Uniti e diverse zone del Canada hanno introdotto lo screening obbligatorio, e questi dati aiutano a capire perché. Negli USA, ogni anno nascono tra i 40 e gli 80 bubble boy o girl. Secondo gli autori, non ci sono dubbi: tutti i paesi dovrebbero introdurre lo stesso screening, per salvare decine di bambini ed evitare il ricorso a terapie costose, complesse e dall’esito tutt’altro che scontato.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 11 luglio 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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