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Lo hata yoga è un formidabile aiuto per il mal di schiena, specie per quello cronico

Gli indiani lo sanno da millenni: per contrastare il mal di schiena lo yoga è una delle soluzioni più efficaci. E ora anche uno studio condotto presso la Cleveland Clinic, in Ohio, e pubblicato su JAMA Network Open lo conferma: chi pratica ha meno dolore, assume meno farmaci e dorme meglio. E, tra l’altro, rispetta più fedelmente le indicazioni di tutte le linee guida internazionali, che sottolineano come il primo approccio al mal di schiena cronico debba essere fisico, più che farmacologico o chirurgico, e come la ginnastica mirata sia certamente più efficace di molte altre terapie consigliate, in molti casi senza prove a supporto.

Nel caso specifico, 140 persone con mal di schiena cronico sono state suddivise in due gruppi. Il primo è stato avviato a un corso di yoga da seguire virtualmente per 12 settimane, con una lezione alla settimana da 60 minuti di hata yoga (lo yoga classico) mentre l’altro non modificava le proprie abitudini, e aveva la possibilità di iniziare lo stesso corso solo dopo la fine delle 12 settimane. Tutti i partecipanti sono stati valutati dopo sei settimane dall’inizio della pratica, e poi di nuovo dopo 12 (quindi alla fine delle lezioni guidate) e dopo 24, e il risultato è stato molto chiaro. Rispetto al gruppo di controllo, chi aveva praticato aveva avuto una riduzione dell’intensità del dolore di sei volte più grande, un miglioramento della capacità di usare la schiena di 2,7 volte migliore e una diminuzione del bisogno di farmaci del 34%. Inoltre, anche il miglioramento della qualità del sonno è stato sorprendentemente elevato: dieci volte superiore in chi praticava, sempre rispetto al gruppo di controllo.

Lo yoga si conferma quindi come un’ottima disciplina per combattere il mal di schiena cronico che, secondo l’OMS, colpisce il 20% della popolazione mondiale almeno una volta nella vita: è efficace, sicuro e accessibile a chiunque (e apporta anche numerosi altri benefici). 

A.B.
Data ultimo aggiornamento 10 dicembre 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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