MENTE-CORPO
Le tracce dello stress cronico si ritrovano
nei capelli dopo anni, in adulti e bambini

Lo stress, si sa, è nemico del cuore. Ma ora uno studio presentato al recente congresso europeo sull’obesità, svoltosi a Dublino, oltre a confermare il legame, fornisce le prove del fatto che c’è un modo semplice per capire se si è a rischio perché reduci da uno stress cronico: l’analisi del capello. I cardiologi dell’Università di Rotterdam, in Olanda, hanno infatti analizzato il cortisolo, ormone legato allo stress, e la sua forma inattiva che si trova appunto nei capelli, il cortisone, nei campioni di olte 6.300 persone di tutte le età, che erano state seguite per 5-7 anni nell’ambito di un grande studio di popolazione chiamato Lifelines, che ne ha arruolate 167.000. Durante il periodo di osservazione, tra i 6.300 ci sono stati 133 eventi cardiovascolari (termine con cui di solito si indicano infarti, ictus e altre patologie gravi). Verificando la quantità dei due ormoni, e introducendo tutti i fattori correttivi legati all’età, alle abitudini, ad altre malattie e così via, il legame è apparso chiaramente: le persone che avevano più cortisone nei capelli avevano avuto un rischio doppio rispetto a che ne aveva di meno. Se poi si analizzano solo coloro che avevano meno di 57 anni, il rischio risulta addirittura triplo (più si invecchia e più si fanno sentire numerosi altri fattori di rischio, e l’associazione diventa meno significativa).
Un secondo studio conferma poi indirettamente l’importanza dei capelli per misurare lo stress. Nei neonati di un giorno, a elevati livelli di cortisolo nei capelli corriponde una specifica difficoltà a prendere sonno, che dura almeno fino ai sette mesi di vita. Lo hanno dimostrato i ricercatori dell’Università di Denver, che hanno presentato i dati di 70 neonati a un congresso sul sonno. Ma se il neonato è stressato, è perché lo è stata la madre nell’ultimo trimestre. Anche in questo caso, quindi, i capelli sono ottimi strumenti di diagnosi indiretta dello stress.
Se tutto ciò fosse ulteriormente studiato e confermato, si potrebbe mettere a punto un test specifico, ed eventualmente pensare a terapie che abbiano come bersaglio proprio i due glucocorticoidi, da ridurre in chi ne abbia concentrazioni troppo elevate nell’organismo per periodi di tempo prolungati, al fine di prevenire guai peggiori.
A.B.
Data ultimo aggiornamento 14 giugno 2023
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