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Le proteine della soia frenano l’infiammazione cronica?

Per ora si tratta di una sperimentazione sugli animali da laboratorio e su cellule intestinali in coltura, ma i primi risultati portano a ritenere che l’assunzione di un concentrato di proteine della soia possa contrastare le malattie croniche intestinali, in particolare la colite ulcerosa e la malattia di Crohn. A questi risultati - come scrive il Sole 24 Ore - è arrivato uno studio realizzato dalla Pennsylvania State University e pubblicato sul Journal of Nutritional Biochemistry. Il prossimo passo, per i ricercatori, sarà quello di testare le proteine della soia, peraltro già in commercio, sugli esseri umani. Ecco l’articolo del Sole 24 Ore, firmato da Nadia Comerci.

Aggiungere alla dieta un concentrato di proteine della soia potrebbe aiutare a contrastare le malattie infiammatorie intestinali. Lo sostiene uno studio pubblicato sulla rivista The Journal of Nutritional Biochemistry dai ricercatori della Pennsylvania State University di University Park (Usa), secondo cui le proteine contenute nel legume avrebbero la capacità di ridurre la gravità dell’infiammazione

Le malattie infiammatorie intestinali (note anche come Ibd - Inflammatory bowel diseases), che includono la colite ulcerosa e la malattia di Crohn, colpiscono quasi 4 milioni di persone in tutto il mondo. Sono caratterizzate da un’infiammazione continua o periodica del colon e rappresentano un fattore di rischio significativo per il tumore di quel tratto dell’intestino. Per scoprire se le proteine della soia possono contribuire a combatterle, i ricercatori statunitensi ne hanno analizzato gli effetti su cellule intestinali umane coltivate in laboratorio e su un gruppo di topi affetti da colite ulcerosa. Nel secondo caso, hanno sostituito le fonti proteiche della dieta dei roditori con le proteine del legume, in misura pari a circa il 12% del totale, che corrisponde alla quantità che potrebbe essere consumata quotidianamente dagli esseri umani.  
Al termine dell’esperimento, gli scienziati hanno scoperto che il concentrato di proteine della soia aveva prodotto effetti antiossidanti e citoprotettivi sulle cellule intestinali. Inoltre, aveva moderato la gravità dell’infiammazione, attenuato la perdita della funzionalità della barriera intestinale, indotto il calo di peso corporeo e ridotto il gonfiore nei topi. Il passo successivo della ricerca, osservano gli studiosi, consisterà nel verificare se gli effetti benefici riscontrati nei roditori possano essere riprodotti anche sulle persone. E dato che la soia è un alimento ampiamente utilizzato, soprattutto nei Paesi asiatici, ritengono che la sperimentazione sugli umani potrebbe essere avviata nel giro di poco tempo. «Dal momento che la proteina della soia è già in commercio – spiega Joshua D. Lambert, che ha coordinato l’indagine - eseguire la ricerca sugli esseri umani sarà più semplice».


Data ultimo aggiornamento 19 giugno 2017
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: colite ulcerosa, malattie infiammatorie intestinali, morbo di Crohn



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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