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Le polveri sottili PM2,5 provocano, tra le altre cose, anche arrossamenti cutanei

All’origine degli arrossamenti cutanei degli adulti ci potrebbe essere anche l’inquinamento. In particolare, quello dato dalle polveri sottili più piccole, le cosiddette PM2,5. Lo suggerisce uno studio pubblicato su PLoS Global Public Health dai ricercatori della National Normal University di Taipei, a Taiwan, che hanno confrontato l’incidenza del fenomeno con l’andamento delle PM2,5 un due popolazioni dell’isola e in due fasce di età: una tra i 20 e i 59 anni, e una con over 60. In totale, le indagini hanno coinvolto poco meno di 500 persone. Sovrapponendo i dati atmosferici con le informazioni cliniche, gli autori hanno dimostrato che esiste un rapporto lineare, e cioè: più aumentano le PM2,5, più cresce la probabilità che un adulto abbia la pelle arrossata senza che vi siano specifiche patologie. In particolare, tra i più giovani, per ogni unità in più di polveri sottili si ha un aumento di 1,70 punti dell’intensità dell’arrossamento (secondo una scala associata a un’analisi fatta con uno strumento apposito), mentre per i più anziani l’incremento, sempre per ogni unità in più di PM2,5, è di 2,63 punti. Tra i primi, poi, si vede anche un aumento delle porfirine, le proteine responsabili del colore rosso della pelle, mentre tra i più avanti con l’età il rapporto con esse è meno chiaro.

Secondo gli autori, probabilmente le sostanze irritanti e cancerogene presenti nell’aria inquinata interagiscono con le porfirine, dando luogo agli arrossamenti. Questi ultimi, se prolungati, potrebbero anche predisporre a patologie croniche o a tumori cutanei. Sarebbe quindi meglio non esporsi ad aria troppo inquinata. E sarebbe opportuno che si facesse molto di più per migliorare la qualità dell’aria.


Data ultimo aggiornamento 28 marzo 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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