PLASTOCENE
Le microplastiche contaminano i coralli,
i delfini e le balene, e poi tornano all’uomo

Le microplastiche disperse nelle acque si accumulano nei coralli. E si depositano anche nei delfini, che le assorbono non solo per ingestione ma anche per inalazione, e nelle balene. In vari modi, poi, tornano all’uomo.
Per quanto riguarda i coralli, l’accumulo è stato scoperto i ricercatori di alcune università giapponesi e tailandesi, che hanno prelevato una trentina di campioni di coralli al largo di Si Chang Island, nel mare della Tailandia.
I coralli sono costituiti da tre parti: una più esterna, mucosa, una intermedia, un tessuto, che è la parte vitale. Il tutto è poi retto da uno scheletro di carbonati di calcio, prodotti dagli stessi coralli e cruciali per la sopravvivenza. Come riferito su Science of the Total Environment, le analisi dei campioni hanno rivelato ogni campione conteneva in media 174 microparticelle di plastica con un diametro medio compreso tra 100 e 200 micron (millesimi di millimetro). Quanto alla distribuzione, il 38% era nel muco, il 25% nei tessuti e il 37% nello scheletro. I polimeri più rappresentati erano il nylon (presente nel 20% circa dei campioni), il poliacetilene (14,3%), e il PET o polietilen-tereftalato (9,7%), usatissimo nell’industria alimentare. La presenza di elevate concentrazioni di microplastiche nello scheletro spiega perché, secondo diverse stime, circa il 70% delle plastiche riversate in mare non si trovi in superficie: viene letteralmente assorbito dai coralli, che le intrappolano, e ne risentono. E questa è una pessima notizia, perché i coralli sono alla base di delicati equilibri marini, e la loro progressiva scomparsa allarma tutti i ricercatori del settore.
Anche i delfini assorbono pi micro- e nanoplastiche di quanto si pensasse. Lo conferma uno studio pubblicato su PLoS One nel quale è stato analizzato il fiato di 11 delfini tursiopi di due zone diverse degli Stati Uniti. In tutti i campioni sono state trovate fibre e particelle di vario dipo di PET, polistestere, poliammide e di molti altri polimeri plastici.
Infine, anche le balene sono vittime della contaminazione da micro- e nanoplastiche. In uno studio pubblicato su Marine Pollution Bullettin i ricercatori della Duke University hanno dimostrato che la plastica e i calamari (prede tipiche) producono lo stesso tipo di suono, se colpiti da un sonar, e cioè dai suoni che le balene e altri cetacei emettono per ricevere in cambio un altro suono che possono identificare, e questo rende i due tipi di "oggetti" indistinguibili, per i cetacei. Ciò spiega perché negli stomaci dei cetacei si trovi così tanta plastica, e perché sia indispensabile ridurre il più possibile il quantitativo di quella che viene gettata in mare.
Secondo le stime, ogni anno vengono riversate in mare tra i 4,8 e le 12,7 milioni di tonnellate di plastiche, un terzo delle quali in Asia. E ciò spiega perché anche tutti gli esseri umani, a prescindere dalle abitudini e dal luogo di residenza, abbiano nel loro organismo quantità più o meno rilevanti di micro e nanoplastiche: arrivano dal mare, in vario modo (anche negli aerosol, oltreché nel pesce). Le conseguenze sulla salute solo ora stanno iniziando a essere studiate, ma certamente non sono positive. Le plastiche, materiali che hanno consentito grandi progressi all’umanità, sono ormai ubiquitarie, e rappresentano un grave rischio per tutto il pianeta e per tutti i suoi abitanti. Per questo, secondo tutti gli esperti, devono assolutamente essere ridotte, oppure radicalmente cambiate.
A.B.
Data ultimo aggiornamento 18 ottobre 2024
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