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Le micro- e le nanoplastiche ospitano molti patogeni. E compromettono gli antibiotici

Le micro- e le nanoplastiche, cioè i frammenti di plastica che si generano per abrasione dai polimeri, e che hanno diametri che vanno dal milionesimo al millesimo di millimetro, sono ubiquitarie tanto nell’ambiente quanto nel corpo umano e in quelli di altri esseri viventi terrestri: questo è noto ormai da tempo. Ciò che però non si sapeva, se non in modo molto generico, è che possono trasportare agenti patogeni, proteggendoli anche da alcuni trattamenti antimicrobici e, al tempo stesso, compromettere l’azione degli antibiotici. Lo dimostrano due studi usciti a poca distanza l’uno dall’altro, nei quali i due aspetti emergono come l’ennesimo, grave danno associato a questi materiali.
Nel primo, pubblicato su PLOS One dai ricercatori dell’Università di Lund, in Svezia, sono state studiate in dettaglio le cosiddette plastisfere, cioè gli agglomerati che si formano attorno ai frammenti di plastica, e sulle quali crescono i batteri patogeni. Nello specifico, si è visto che, sulle plastisfere di alcuni dei polimeri più utilizzati come il PET, provenienti da acque di scarico sia trattate con filtrazioni e altri metodi, sia non ancora trattate, risiedono batteri provenienti soprattutto dalla catena alimentare tra i quali la Listeria monocytogenes, l’Escherichia coli, i norovirus e vari adenovirus, insieme alla Klebsiella pneumoniae e agli Acinetobacter. Il motivo è chiaro: attorno alle particelle crescono le colonie batteriche, che poi formano la pellicola protettiva chiamata biofilm, inattaccabile da parte dei vari trattamenti. Oltre a tutto il resto, le micro- e nanoplastiche sono dunque vettori di batteri patogeni. Contro i quali gli antibiotici hanno meno effetto, ancora a causa della plastica, stando a quanto emerso nel secondo studio, pubblicato su Scientific Reports dai ricercatori dell’Università di Vienna. In quel caso, gli autori hanno verificato che cosa succedeva a uno degli antibiotici più usati, la tetraciclina, se messa a contatto con nano- e microparticelle di polietilene (PE), polipropilene (PP), polistirene (PS), ubiquitari nei materiali di packaging, e con il nylon 6,6 (N66), un polimero particolarmente presente nei tessuti, che facilmente si volatilizza e viene quindi assorbito anche per inalazione. Il risultato è stato che la tetraciclina si lega saldamente alle plastiche, e questo compromette la sua efficacia. Inoltre, a causa del legame, l’antibiotico può arrivare in zone del corpo dove sarebbe meglio che non ci fosse e dove non dovrebbe andare.
In caso ce ne fosse bisogno, questi due studi confermano quindi quanto sia importante ridurre l’uso della plastica, e puntare a un futuro del quale essa non faccia più parte.
A.B.
Data ultimo aggiornamento 12 dicembre 2024
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