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Cresce l’allergia alla carne rossa scatenata dalle zecche. E la causa è l’antropizzazione

C’è una forma di allergia fino a poco tempo fa rarissima, la cui incidenza sta aumentando, negli Stati Uniti (così come in Europa e in Australia): quella alla carne rossa scatenata dalla puntura di due tipi di zecche, chiamate Amblyomma americanum e Ixodes scapularis. Se nel 2009 se ne contavano soli 24 casi, nel 2019, dieci anni dopo, le diagnosi erano già 34.000. Un aumento dovuto in parte a una maggiore consapevolezza, ma anche alle conseguenze della crisi climatica, che spinge insetti come le due zecche in questione a conquistare sempre nuovi habitat, entrando in contatto più spesso con gli esseri umani.
La sindrome da alfa gal (questo il nome della malattia) nasce dal fatto che la zecca, pungendo, lascia nel sangue della vittima uno zucchero chiamato galattosio-α-1,3-galattosio o alfa gal appunto, contro il quale l’organismo scatena la produzione delle immunoglobuline tipiche dell’allergia, le IgE. Il problema è che l’alfa gal è presente anche nelle carni rosse e in altri alimenti. E ciò significa che, dopo la puntura, ogni volta che si introduce carne rossa o uno degli altri cibi che contengono alfa gal, si innesca la reazione allergica i cui sintomi, prevalentemente gastrointestinali, possono essere anche piuttosto gravi. E in ogni caso limitano fortemente la dieta.
Poiché l’incidenza sta aumentando, i ricercatori dell’Università della Carolina del Nord di Chapell Hill si sono chiesti se ci fosse un nesso con le trasformazioni degli ambienti rurali negli Stati Uniti, e la risposta è stata che esiste una relazione molto chiara. Come hanno spiegato su PLoS Climate, infatti, la sindrome ha una frequenza che segue di pari passo la frammentazione degli spazi selvatici attuata per destinare sempre più terra alla coltivazione, seguendo un gradiente che va da est, dove vi sono soprattutto montagne, a ovest, dove via via iniziano le grandi pianure coltivate. Il progressivo aumento delle coltivazioni spinge le zecche a conquistare sempre nuovi habitat, e l’uomo a entrare in contatto con esse. La dimostrazione dell’esistenza di un rapporto diretto – spiegano gli autori – oltre a confermare che le attività umane stanno causando gravi danni aglla stessa umanità, oltreché all’ambiente, può permettere di pensare a strategie preventive, e dovrebbe indurre le autorità a una maggiore vigilanza e consapevolezza dei rischi.
A.B.
Data ultimo aggiornamento 2 maggio 2025
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