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Le macchinette del caffè degli ospedali ospitano centinaia di specie batteriche

Ogni anno, nel numero della settimana di Natale, il British Medical Journal, una delle riviste mediche più autorevoli del mondo, pubblica articoli all’apparenza leggeri, che trattano argomenti anche scherzosi, ma che comunque hanno una base scientifica seria. Uno degli studi di quest’anno riguarda le macchinette del caffè degli ospedali, tra i pochi oggetti non ancora intensamente studiati in quanto possibili fonti di diffusione di batteri pericolosi e resistenti agli antibiotici. I ricercatori dell’Università di Colonia, in Germania, ne hanno infatti analizzato 25 (17 nelle stanze dedicate alle pause nelle corsie e negli studi, otto in abitazioni del personale), di vario tipo (a capsule, a cialda e così via), tutte in funzione da almeno un anno, e mai oggetto di pulizie approfondite, e tutte in luoghi dove non c’erano stati focolai di infezioni recenti.

Tutte le macchine sono state analizzate in cinque punti diversi: i vassoi per le gocce, il punto di uscita del caffè, i pulsanti, la maniglia del serbatoio di acqua e l’interno dello stesso, alla ricerca di batteri patogeni e commensali, cioè sempre presenti, e non pericolosi.

I risultati sono stati abbastanza rassicuranti. Innanzitutto, le macchine degli ospedali sono risultate avere una quantità di batteri tripla rispetto a quelle domestiche; sono stati identificati 360 da 72 campioni positivi, contro i 132 ceppi di 34 campioni. La buona notizia, però, è che nella stragrande maggioranza dei casi erano commensali e solo otto dei ceppi rilevati potevano avere una qualche importanza dal punto di vista medico, ed erano Gram negativi, più facilmente resistenti. Un solo campione aveva stafilococchi aurei, patogeni che pososno essere molto pericolosi.

Nell’81% dei casi i batteri sono stati trovati in ospedale, soprattutto nei vassoi, nelle maniglie enei serbatoi dell’acqua, a conferma del fatto che provenivano dalle mani degli operatori.

Il consiglio è quello quindi di prestare particolare attenzione all’igiene delle mani degli operatori e pulire meglio e più regolarmente le macchine, ma non sembra necessario adottare provvedimenti drastici come il divieto di tenere macchine per il caffè in corsia o in studio.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 22 dicembre 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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