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Le donne curate per un tumore al seno
tendono a "prendere" più peso

Differenza media di 1,7 chili, rispetto alle altre. L’incremento medio sale a 3,2 chili per chi si sottopone alla chemioterapia. Ma dopo 5 anni torna la normalità

Le donne curate per un tumore al seno tendono ad acquistare più peso rispetto alle coetanee sane, nei quattro anni successivi alla diagnosi e alle cure (soprattutto a quelle per i carcinomi non sensibili agli estrogeni). Lo dimostra uno studio pubblicato sulla rivista Cancer Epidemiology, Biomarkers & Prevention dagli esperti del Sidney Kimmel Comprehensive Cancer Center di Baltimora (USA), che hanno valutato l’andamento dell’indice di massa corporea (il parametro che definisce il peso in relazione all’altezza) di circa 600 donne in menopausa, simili per età e per altre caratteristiche fisiologiche: la metà di loro era stata curata per un carcinoma mammario, mentre l’altra metà non aveva sviluppato la malattia. Ebbene, nell’arco dei quattro anni, scrivono i ricercatori, il peso delle pazienti curate per il tumore al seno è aumentato mediamente di 1,7 chili in più, rispetto a quello delle altre donne. Nel caso di tumori non sensibili agli estrogeni, l’incremento medio è stato ancora più alto (3,2 chili). In linea di massima, la percentuale di incremento del peso è stata più alta nelle donne che erano state sottoposte alla chemioterapia. Non sono emerse differenze, invece, nelle pazienti che avevano affrontato una terapia ormonale, né in quelle trattate da più di cinque anni (dopo questo arco di tempo - cinque anni, appunto - la situazione tende a rientrare nella normalità).

Esistono diversi motivi che possono indurre questo aumento di peso (legato alla diversa situazione di ogni paziente). Ma esistono, naturalmente, anche strategie efficaci per riportare le donne al peso-forma. È però necessario, sottolineano i ricercatori, che chi ha in cura le ex-malate tenga in particolare considerazione questo aspetto e metta in campo da subito le "tecniche" più adatte per superarlo.

A.C.
Data ultimo aggiornamento 31 ottobre 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: tumore al seno



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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