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Le carni rosse lavorate fanno aumentare
anche il rischio di sviluppare una demenza

Il consumo di carni rosse lavorate, già associato a un aumento del rischio di diabete, tumori e malattie cardiovascolari, potrebbe essere responsabile anche di un incremento del rischio di sviluppare una demenza. Lo suggerisce uno studio presentato a un congresso internazionale sull’Alzheimer, svoltosi nei giorni scorsi a Filadelfia, di cui dà conto il Guardian. In esso sono state seguite circa 130.000 persone per oltre quattro decenni, monitorando sia le condizioni di salute che la dieta, oggetto di specifici questionari compilati ogni due-cinque anni. Durante il periodo di osservazione nel campione, che all’inizio aveva un’età media di 43 anni, ci sono stati 11.000 casi di demenza. Verificando la dieta, si è visto che chi consumava regolarmente due porzioni alla settimana di alimenti quali le salsicce, i salumi, gli hotdog, alcuni tipi di salse e il bacon  aveva un aumento dell’incidenza di declino cognitivo (condizione che molto spesso precede la demenza) del 14% rispetto a che ne mangiava tre porzioni al mese. La buona notizia è che, rimpiazzando una porzione giornaliera di carni rosse lavorate con una di legumi o frutti a guscio come le noci, si ha una diminuzione del rischio di demenza del 23%.

Lo studio, condotto dai ricercatori del Brigham and Women’s hospital di Boston, non dimostra l’esistenza di un rapporto di causa ed effetto tra la dieta e le demenze, ma solo la coesistenza dei due fenomeni. Secondo gli autori, l’effetto sulle prestazioni cognitive potrebbe essere dovuto a diverse sostanze utilizzate come conservanti nelle carni rosse come i nitriti, e anche all’eccesso di sale. Considerando anche gli altri rischi associati a questi alimenti, concludono, bisognerebbe limitarne il consumo, sostituendo alcune porzioni con cibi a base vegetale, che possono fornire le stesse proteine insieme ad altre sostanze benefiche, senza aumentare i rischi di sviluppare demenze, ma anche tumori, diabete o infarti.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 6 agosto 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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