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La terapia iperbarica dà sollievo a chi soffre Long Covid agendo sul sistema immunitario

Per ora si tratta di un piccolo studio, pubblicato come tesi di dottorato da Anders Kjellberg, del Karolinska Institutet di Stoccolma, in Svezia, ma i dati sull’effetto della terapia con ossigeno iperbarico nelle persone colpite da Long Covid, oltre a costituire una speranza concreta, confermano decine di racconti presenti in rete sullo stesso approccio: tutti molto positivi.

Nella tesi, 17 pazienti sono stati sottoposti a sedute con ossigeno al 100%, a una pressione paragonabile a quella che si avrebbe immergendosi a una profondità di 10-20 metri sotto il livello del mare, diverse volte alla settimana, e i risultati sono stati evidenti. Non solo i malati hanno mostrato un sensibile miglioramento, che ha permesso loro di tornare a casa prima del previsto, ma gli esami effettuati hanno fatto emergere un cambiamento profondo del sistema immunitario e del quadro infiammatorio. Secondo Kjellberg, l’ossigeno puro e la pressione inducono un forte stress nelle cellule immunitarie, accelerando la morte di quelle fuori controllo o senescenti, e provocando così una sorta di reset che ha un’efficacia terapeutica importante. Al momento, si sta reclutando un campione di pazienti più ampio, di circa 80 soggetti, per confermare l’efficacia.

Che un’azione sul sistema immunitario possa essere l’approccio giusto lo conferma però anche, in direttamente, un altro studio, uscito su Nature Communications, nel quale si spiegano i meccanismi alla base di una malattia che, secondo molti, è una forma di Long Covid, scatenata da altri agenti infettivi: la sindrome da fatigue cronica o encefalite mialgica (ME/CSF). L’analisi di 17 pazienti ha mostrato uno sbilanciamento del sistema immunitario, che sembra in qualche modo esausto, come se lottasse da troppo tempo contro un nemico che non riesce a sconfiggere del tutto. Lo si pensa anche del Long Covid: secondo alcuni, è il risultato della permanenza, nell’organismo, di Sars-CoV 2, anche a concentrazioni bassissime, ma sufficienti per tenere le difese sempre attivate. Gli autori, non a caso, stanno per intraprendere uno studio simile su pazienti con Long Covid, per verificare se alla base delle sue manifestazioni ci sono le stesse anomalie immunitarie.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 4 marzo 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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