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La socialità, comunque declinata, protegge efficacemente il cervello dall’Alzheimer

Va bene tutto: il bingo, i viaggi, il ristorante, il teatro, il volontariato, gli eventi sportivi, le visite agli amici. Qualunque attività comporti socialità ha un potente effetto preventivo nei confronti dell’Alzheimer e del declino cognitivo tipico dell’età, e andrebbe dunque incoraggiata e sostenuta anche con fondi pubblici, se necessario.

Il ruolo della socialità nel mantenimento delle performance cognitive è noto da tempo, ma ora uno studio pubblicato su Alzheimer & Dementia aiuta a capire quanto il mantenimento di una buona rete di relazioni sia importante, per preservare il cervello.

In esso, infatti, sono stati seguiti poco meno di 2.000 persone che all’inizio dell’indagine avevano ottant’anni, e nessun segno di decadimento cognitivo. Dopo cinque anni, 545 avevano sviluppato una demenza e 695 un deficit cognitivo (condizione che spesso prelude alla demenza, ma non sempre). Verificando come era stata la loro vita, in merito ad attività quali il gioco delle carte, le attività fisiche, quelle di volontariato, quelle culturali, i rapporti di amicizia e parentela e così via, e correggendo i dati in base ad altre malattie e a fattori che avrebbero potuto influenzare il rischio, gli autori hanno dimostrato che aveva mantenuto una vita sociale intensa aveva avuto una probabilità di sviluppare una demenza inferiore del 38% e un declino cognitivo inferiore del 21% rispetto a chi era rimasto isolato e inattivo. Inoltre, tra chi aveva sviluppato un Alzheimer, la diagnosi era arrivata mediamente cinque anni dopo, ed erano stati assicurati tre anni in più di vita attiva, con un risparmio stimato di 500.000 dollari (per persona, in trent’anni) dato dal mantenimento di attività remunerate e dal fatto di non dover ricorrere a cure per l’Alzheimer o i deficit cognitivi.

Non è del tutto chiaro perché la socialità sia così importante, ma uno dei motivi è senz’altro il fatto che i rapporti con altre persone costringono il cervello a lavorare continuamente, per adattarsi continuamente alla realtà. E questo lo mantiene in forma, oltre a controibuire a tenere alto l’umore, altro fattore criciale per evitar una demenza.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 13 febbraio 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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