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La riscoperta della mescalina,
"medicina" dei nativi americani

di Agnese Codignola*

Di Rinascimento psichedelico si sente parlare sempre più spesso, perché in tutto il mondo la ricerca sui farmaci allucinogeni, già sperimentati a partire dagli anni Cinquanta del Novecento, e poi abbandonati a causa degli strettissimi divieti imposti ovunque, è tornata a essere più che attiva, e sta fornendo indizi e prove di possibili effetti terapeutici molto interessanti. Ansia e depressione, dipendenze, disturbi ossessivo-compulsivi, cefalea a grappolo, disturbo post traumatico da stress e perfino Alzheimer sono alcune delle patologie per le quali si spera stia nascendo una nuova era: quella, appunto delle cosiddette sostanze psichedeliche. 

Il capostipite è la dietilammide dell’acido lisergico, meglio nota come LSD, inventata dal chimico svizzero Albert Hofmann a Basilea, nei laboratori Sandoz, nel 1938. Oltre all’LSD, al centro degli studi più avanzati ci sono il principio attivo dei funghi Psilocybe, la psilocibina, molto simile all’LSD ma meno potente, e per questo considerata più maneggevole, a scopi terapeutici, e poi la ketamina, un derivato della quale (l’esketamina) è già stato approvato contro la depressione a rischio suicidio, l’MDMA o ecstasy, in via di approvazione per il disturbo da stress post traumatico, l’ibogaina, estremamente efficace per combattere soprattutto le dipendenze da oppiacei, e la DMT, principio attivo dell’ayahuasca, miscela di piante impiegata originariamente da alcune popolazioni indigene centro- e sudamericane.

Curiosamente, tuttavia, una delle molecole più antiche, la mescalina, utilizzata dall’uomo fino dall’antichità (le prime tracce di un impiego forse rituale risalgono a reperti datati al 5.700 a. C., trovati in una grotta del Rio Grande, in Messico), principio attivo del cactus peyote e di altri cactus quale quello chiamato Sanpedro, finora non ha goduto della stessa attenzione, nonostante il primo isolamento della molecola risalga al 1897, la prima sintesi in laboratorio al 1919 e i primi studi clinici sistematici al 1920.
Dal punto di vista del meccanismo d’azione la mescalina, analogamente a LSD e psilocibina, agisce sui recettori della serotonina di tipo 5HT2a. Tuttavia, rispetto a queste ultime molecole, ha una struttura chimica diversa e, per questo motivo, imita anche l’effetto dell’adrenalina, ed è meno capace di alterare la coscienza (secondo alcuni calcoli, il suo potere allucinogeno sarebbe circa il 5% rispetto a quello della psilocibina). Ma l’attenuazione dell’efficacia comporta il fatto che, per avere effetti significativi, è necessario somministrare dosi molto elevate, anche dell’ordine di un grammo (per dare un’idea, per l’LSD le dosi sono dell’ordine di decine di microgrammi, cioè quasi un milionesimo rispetto alla mescalina). E questi dosaggi complicano la somministrazione, e possono scatenare nausea e vomito. Al tempo stesso, però, molte aziende stanno cercando psichedelici meno allucinogeni dell’LSD: la mescalina lo è, e potrebbe quindi tornare al centro dell’interesse.

In effetti, alcuni primi segnali vanno in questa direzione: in un reportage  dedicato proprio alla peculiare posizione della mescalina nel campo degli psichedelici, la rivista scientifica Nature cita l’unico studio clinico attivo al momento: quello di Matthias Liechti, dell’Ospedale Universitario di Basilea (curiosamente, la città di Albert Hofmann), con cui Assedio Bianco ha voluto parlare per qualche chiarimento in più. Spiega Liechti: «Stiamo conducendo due studi clinici. Il primo, nelle sue fasi iniziali, è finalizzato a determinare l’intensità dell’alterazione di coscienza in seguito alla somministrazione di 100, 200, 400, 800 milligrammi, oppure un placebo o 800 mg più un antidoto, la ketanserina, su 16 adulti di entrambi i sessi. Il secondo, in corso, prevede invece il confronto tra placebo, mescalina (300 o 500 milligrammi), LSD (100 microgrammi) e psilocibina (20 mg) in 30 adulti, per studiare gli effetti acuti e specifici dei diversi allucinogeni, e controllare che cosa succede nel cervello quando si assumono queste sostanze sia con test psicologici specifici, sia con risonanze magnetiche funzionali, che aiutano a capire in quali aree e in che modo si verificano gli effetti». In queste sperimentazioni, spiega ancora Liechti, che ritiene che i ritardi nelle ricerche siano da attribuire soprattutto al fatto che l’azione dura molto a lungo (circa otto ore), la mescalina utilizzata è sintetica. Una precisazione importante, visto che secondo alcuni etnobotanici e antropologi medici è un bene che la mescalina sia rimasta relativamente al di fuori dell’interesse delle aziende, e tale dovrebbe rimanere. Il perché lo spiega molto chiaramente il giornalista e scrittore Michael Pollan, autore, nel 2018, di un libro sugli psichedelici che è diventato un bestseller internazionale, Come cambiare la tua mente (edito in Italia da Adelphi, come tutti i suoi libri), e da poche settimane in libreria con un altro tassello della sua descrizione del mondo psichedelico, Piante che cambiano la mente, un capitolo del quale è dedicato proprio alla mescalina (un altro all’oppio e un terzo alla caffeina). 

Come ricorda Pollan, oltre alle caratteristiche intrinseche della mescalina, ancora in parte da decifrare, altre difficoltà hanno limitato finora lo studio di questa molecola. A partire dalla fine dell’Ottocento, infatti, i nativi americani, che stavano andando incontro al rischio di scomparire, hanno iniziato a utilizzare il peyote per complessi riti religiosi, tuttora molto vitali all’interno delle comunità. La mescalina, chiamata significativamente “medicina”, è diventata, nel tempo, un elemento identitario, imprescindibile rispetto all’appartenenza al gruppo sociale, e tuttora riveste tale ruolo. Inoltre c’è un motivo di natura strettamente botanica per preservare il peyote da un interesse eccessivo: questo cactus ha una crescita lunghissima, ed estremamente limitata dal punto di vista geografico, perché allo stato selvatico cresce soltanto in alcune zone del Texas, e non si adatta bene alla coltivazione in serra. Quest’ultima modalità, del resto, è percepita dai nativi americani come artificiale e snaturante, perché il vero peyote, quello che contiene la “medicina”, assorbe le energie della natura selvaggia lentamente e in modo non controllabile, durante i 15 anni durante i quali giunge a pinea maturazione. Tuttavia, da alcuni anni, via via che gli psichedelici diventano popolari, sta aumentando il numero di persone di vari Paesi che arrivano in Texas proprio in cerca del peyote, rischiando di depauperare le già scarsissime riserve dei nativi. La soluzione potrebbe essere quella di utilizzare la mescalina di sintesi, non a caso scelta da Liechti, che spiega infatti: “Con la mescalina di sintesi non c’è il rischio di interferenze con gli impieghi rituali. La stessa cosa, del resto, succede con la psilocibina. I funghi Psilocybe sono impiegati da migliaia di anni da numerose popolazioni del Centro e del Sud America, ma la versione sintetica, oggetto di numerosi studi in diversi Paesi, non ha in alcun modo interferito con quelle tradizioni». In realtà, secondo alcuni la situazione non è esattamente questa: anche per i funghi Psilocybe negli ultimi anni ci sono stati fenomeni quasi di massa, in alcune zone del Messico, e ora si cerca di tutelare meglio le tradizioni delle popolazioni locali. Inoltre, questi funghi crescono bene in numerosi paesi, e il rischio di estinzione non esiste. Tuttavia, resta la necessità di rispettare le culture locali e, per il peyote, di allontanare il rischio di estinzione (tutt’altro che remoto).

Con ogni probabilità, anche la mescalina di sintesi, o qualche suo derivato, entreranno a far parte, nei prossimi anni, di una nuova classe di farmaci utilizzati per la cura di svariate patologie psichiatriche. Ma forse quella derivata dal peyote resterà una “medicina” il cui mistero non sarà mai del tutto svelato, al di fuori delle comunità che la utilizzano ormai da millenni, e che in parte sono riuscite a preservare la propria identità culturale grazie ad essa.
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Nella foto in alto, dell’agenzia iStock, un peyote, piccolo cactus senza spine che contiene alcaloidi psicoattivi: in particolare, la mescalina
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* Autrice di LSD-Storia di una sostanza stupefacente (Utet)

 

Data ultimo aggiornamento 9 ottobre 2022
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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