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La psilocibina è efficace quanto gli altri antidepressivi, ma con qualcosa in più

La psilocibina, principio attivo dei funghi psylocibe, è attiva quanto gli antidepressivi classici, che supera da alcuni punti di vista, e potrebbe essere efficace nella cura dell’anoressia nervosa. Lo confermano due studi pubblicati di recente, che vanno ad aggiungersi ai numerosi usciti negli ultimi anni sulle potenzialità delle sostanze psichedeliche. 

Nel primo, pubblicato sulla rivista del gruppo Lancet eClinical Medicine dai ricercatori di uno dei gruppi più autorevoli del campo, quello dell’Imperial College di Londra, doive lavora l’italiano Tommaso Barba, il escitalopram, antidepressivo classico, è stato confrontato con la psilocibina in circa 60 pazienti. Metà sono stati trattati con escitalopram in dosi crescenti (prima 10 e poi 20 milligrammi al giorno) per sei settimane, l’altra metà con 25 milligrammi di psilocibina, data in tutto due volte, sempre in un arco di tempo di sei settimane. Tutti hanno avuto il supporto di 20 ore di psicoterapia. I trattamenti hanno avuti entrambi effetti positivi sulla depressione, ma le persone che hanno assunto psilocibina hanno mostrato un benessere più generalizzato, un senso di connessione e una funzionalità sociale superiori, riscoprendo anche il senso della vita. Inoltre non hanno avuto, a differenza degli altri, una diminuzione della libido, altro fattore che aiuta a tenere alto il tono dell’umore. Dal momento che almeno un terzo dei depressi trattati con farmaci classici non risponde e molti non ne sopprtano gli effetti collaterali, gli psichedelici potrebebro davvero diventare un’alternativa, da somministrare sempre in condizioni controllate e insieme a una psicoterapia, conclude Barba, che ricorda come saranno necessarie casistiche più ampie, e alcuni approfondimenti ulteriori.

Il secondo studio è stato invece pubblicato su Psychedelics dai ricercatori dell’Università della California di San Diego, e suggerisce che la psilocibina possa apportare significativi benefici a chi soffre di anoressia nell’ambito di un percorso psicoterapeutico completo.

Nel trial, dieci persone con diagnosi di anoressia e refrattarie alle terapie più usate sono state sottoposte a una sola somministrazione di 25 milligrammi di psilocibina, accompagnati prima, durante e dopo da una psicoterapia mirata. Le interviste effettuate hanno confermato la potenza di questa sostanza, considerata dal 90% dei partecipanti una delle esperienze più rilevanti dell’intera esistenza. Dal punto di vista terapeutico, poi, il 60% ha mostrato miglioramenti nella percezione dell’importanza dell’aspetto del proprio corpo, e il 70% della qualità di vita, attribuiti a un cambiamento nella personalità. Dal punto di vista clinico, quattro su dieci hanno avuto un miglioramento dell’anoressia, visibile soprattutto per quanto riguarda il pensiero del peso e del proprio aspetto esteriore.

Secondo gli autori, una delle questioni che ora restano da risolvere è perché la risposta non sia omogenea. Forse le differenze sono da attribuire a diverse conformazioni dei recettori della serotonina di tipo 5HT2, i bersagli cui si lega la psilocibina, le cui variazioni sono determinate geneticamente.

Il dato più importante è però l’effetto clinico, difficile da ottenere con gli approcci terapeutici attuali, e da confermare su una casistica più ampia, affiancata da esami di imaging che aiutino a descrivere che cosa succede nel cervello.

Inoltre, lo schema di psicoterapia messo a punto per l’occasione potrebbe essere adottato da tutti i terapeuti che si occupino dell’anoressia, e anche questo è un passo in avanti. L’approccio psichedelico vuole infatti che le sostanze siano sempre usate nell’ambito di un protocollo articolato che preveda sempre una psicoterapia ma, sulla quest’ultima parte, per ora non ci sono linee guida o formulazioni condivise. Per questo, avere a disposizione un protocollo unicoefficace e specifico, sarebbe molto importante (anche per chiedere le approvazioni alle agenzie regolatorie).

A.B.
Data ultimo aggiornamento 6 dicembre 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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