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«La paura? Dobbiamo ascoltarla
e accoglierla, ci protegge»

Il fiato corto, le gambe che tremano, il sudore che scende freddo. I muscoli sono tesi e la bocca si è improvvisamente seccata. Siamo invasi dalla paura. Ma perché proviamo questa sensazione così sgradevole, la paura? Non sarebbe semplicemente meglio non sentirla e vivere più sereni? Nel libro Vivere la paura di Elisa Veronesi e Paolo Maria Manzalini (Edizioni San Paolo), scopriamo che “l’emozione più antica e potente” non solo ha fatto parte dell’essere umano fin dai primi uomini, ma è stata una “bussola” fondamentale che gli ha permesso di sopravvivere alle minacce ed evolversi fino a oggi. Il volume è la riflessione sulla paura che non ci aspettiamo, la prospettiva alla quale non siamo abituati. Non il solito invito a non avere paura o ad abbatterla. Anzi, gli autori ci invitano ad ascoltarla e accoglierla, riportando l’esperienza dell’avere paura in una dimensione di normalità che la società di oggi preme per rinnegare. 

«Viviamo in un contesto in cui la minaccia per la vita è molto più rara che in passato - spiega Elisa Veronesi, psicoterapeuta e dirigente psicologo dell’Azienda Socio-Sanitaria ASST Brianza. - Perciò, nella cultura generale, provare paura è considerato come un errore e abbiamo imparato a non sentirla più nel suo significato primario. La pandemia ha come risvegliato quest’emozione. Questo libro nasce anche da quella esperienza, con un invito a rivalutarne il senso per la nostra specie».

Già dalle prime pagine siamo trasportati fuori dal pensiero comune: le emozioni negative e spiacevoli, come paura, ma anche tristezza e sofferenza, sono sane e hanno un ruolo specifico e fondamentale tanto quanto quello delle emozioni positive. Se l’essere umano avesse imparato a rimuovere la paura, probabilmente oggi la nostra specie non esisterebbe. Quest’emozione sgradevole è infatti un trigger (un elemento scatenante) che ci porta a reagire di fronte a una minaccia, un sistema di allarme, un meccanismo protettivo contro i pericoli. Come ha precisato Paolo Maria Manzalini, medico, psicologo clinico, psicoterapeuta e responsabile dell’Unità Operativa Semplice Area Territoriale Psichiatrica della ASST Brianza: «Le emozioni negative fanno parte della nostra programmazione genetica e scoprirne il significato ci aiuta anche a gestirle. La paura è un sistema di difesa per noi ancestrale, per cui viene sollecitato con estrema facilità. Il problema delle malattie psicologiche e psichiatriche legate alla paura sta nel fatto che la nostra mente rileva come minacce per la nostra vita qualcosa che invece non lo è».

La paura è infatti un’emozione dalle moltissime sfaccettature, e ognuna viene trattata nel libro, a partire dall’”ansia sana” fino ai veri e propri disturbi psichici, come le fobie e gli attacchi di panico. I timori che ci portiamo dietro anche da adulti, inoltre, spesso prendono forma nei primi anni di vita. Questo significa che non si nasce paurosi, ma lo si diventa? E quelle paure che apparentemente sembrano non avere un motivo, da dove derivano? Nei primi capitoli gli autori provano a rispondere a domande così complesse, e raccontano anche come le paure si possono ereditare dai genitori. «Ci sono sicuramente dei tratti di personalità che portiamo con noi fin dalla nascita - afferma Elisa Veronesi - ma dipende anche dalla successiva esposizione al rischio. Per esempio, nelle professioni che hanno a che fare con emergenze e quindi con più stimoli alla paura, si diventa meno sensibili».

Possiamo anche provare paure inspiegabili che possono nascere da piccoli attraverso l’associazione tra qualcosa di innocuo e un’esperienza negativa intensa, come per esempio la vista di un coniglio e di un suono terrificante.  «I primi anni di vita sono fondamentali - aggiunge Elisa Veronesi - e anche se i genitori sono gli stessi, i comportamenti nei confronti dei figli cambiano, con effetti diversi che vanno a “modellare” il nostro rapporto con la paura. Ad esempio, con il primo figlio i genitori possono essere molto protettivi e presenti, per cui il bambino facilmente svilupperà la sicurezza interiore di essere sostenuto da chi c’è attorno. Quando questo non succede con il secondo o terzo figlio (perché, ad esempio, si ha meno tempo o si crede di essere più esperti), ecco che questi bambini probabilmente diventeranno adulti meno sicuri di sé, più predisposti alla paura e all’ansia».

In Vivere la paura gli autori utilizzano un approccio scientifico, ma il linguaggio è chiaro e immediato, e ci permette di calarci continuamente nel quotidiano grazie ai molti esempi di vita reale e situazioni concrete. La lettura scorre veloce verso la parte centrale del libro, dove si entra in una sfera più esistenziale, connessa con nuove fasi di vita e diversi stimoli sociali. Ecco, dunque, che durante l’adolescenza si scatenano paure intense e profonde, come la paura della morte, ma anche quella della vita. Inquietudini che possono essere così paralizzanti da sfociare in fenomeni come il ritiro sociale e la sovraesposizione virtuale. 

Esistono poi le paure tipiche dell’oggi e della nostra cultura: il timore della solitudine, legato alla velocità sempre più elevata delle interazioni umane. In Vivere la paura si legge che “la velocità ci rende invisibili”, trasparenti e fragili. Così l’uomo moderno fatica nel definire la propria identità e viene spinto a temere l’altro, il diverso. In questa parte, disagi psichici vengono letti in chiave sociologica e si trattano aspetti della società odierna che possono portare all’innesco della paura, arrivare a sconvolgere nel profondo fino a sfociare in meccanismi disfunzionali. 

L’ultima parte del libro è una sorta di excursus di possibili strumenti di aiuto per ridurre il potere che la paura ha su di noi e non lasciarci travolgere, dal controllo della respirazione alle tecniche più moderne di psicoterapia. Ascoltare questa emozione, quindi, significa anche aver fiducia nell’altro e coraggio di procedere nella vita accettando la sua inevitabile complessità.

Un’accettazione che significa essere destinati a vivere nella paura? «Siamo destinati a vivere la paura nei momenti adeguati, a seconda della nostra cultura di appartenenza, della nostra epoca, della nostra storia - risponde Paolo Maria Manzalini - ma così come siamo destinati a vivere le gioie e tutte le emozioni della nostra quotidianità». 

Infine, vivere la paura diventa un prendersi cura di noi stessi attraverso l’altro. «Quello che possiamo fare è coltivare la fiducia verso le persone - conclude Elisa Veronesi, - aprirci a qualcuno che ci può dare una mano, con il pensiero che non siamo da soli al mondo, e così sviluppare una sicurezza data dal fatto che attorno a noi c’è una rete di persone a sostenerci».

Data ultimo aggiornamento 24 marzo 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: recensioni



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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