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La meditazione regolare modifica in meglio l’andamento delle onde cerebrali dell’umore

La meditazione riesce davvero a modificare – in meglio - il funzionamento del cervello, soprattutto per quanto riguarda condizioni quali il tono dell’umore, l’ansia e la depressione. Lo dimostra in modo inequivocabile uno studio pubblicato su PNAS dai neurologi della Ichan School of Medicine del Mount Sinai Hospital di New York, che hanno sfruttato un’occasione unica, per indagare: la disponibilità di otto persone che erano state operate per eliminare alcune crisi epilettiche non controllate dai farmaci, nel cervello delle quali, a tale scopo, era stato impiantato un elettrodo che registrava in continuo l’elettroencefalogramma, detto intracranico.

I partecipanti, che non avevano mai praticato la meditazione prima, sono stati invitati a seguire le istruzioni generali sulla meditazione per cinque minuti, e poi quelle su un tipo di meditazione chiamato Loving kindness o della gentilezza amorevole, incentrato sulle sensazioni positive verso se stessi e gli altri, per dieci minuti. Alla fine delle sessioni, dovevano riferire quanto, in una scala da uno a dieci, pensavano di essere riusciti a meditare, e il risultato è stato molto soddisfacente: la media è stata di 7,43.

Nel frattempo, però, l’elettroencefalogramma intracranico aveva registrato che cosa accadeva nel loro cervello, e da questo sono arrivate le conferme. Le onde cerebrali, in particolare le beta e le gamma, particolarmente indicative dello stati dell’umore, provenienti dagli elettrodi impiantati nell’ippocampo e nell’amigdala (zone a loro volta fondamentali per l’umore), erano cambiate, a riprova di un effetto fisiologico misurabile dovuto proprio alla meditazione. Ciò non significa che la meditazione possa o debba rimpiazzare le terapie tradizionali, ma suggerisce che, se quanto osservato fosse confermato in campioni più ampi, potrebbe essere consigliata come complemento a esse, anche perché, una volta appresa, può essere praticata da chiunque, in qualsiasi situazione, ed è gratis.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 18 febbraio 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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