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La guerra ha già lasciato tracce indelebili
nel genoma dei bambini e ragazzi siriani

La guerra lascia tracce inconfondibili nel DNA di bambini e adolescenti, vere e proprie firme genetiche che hanno ripercussioni sul loro sviluppo cognitivo ed emotivo. Lo dimostra uno studio unico nel suo genere, pubblicato su JAMA Psychiatry  dai ricercatori dello University College London, insieme a quelli dell’Institute for Development, Research, Advocacy and Applied Care libanese e a quelli della St Georges University, che stanno portando avanti un progetto chiamato BIOPATH. Si tratta di uno studio finalizzato a definire le conseguenze sugli organismi dei bambini siriani coinvolti nella guerra iniziata nel 2017, e tornata di drammatica attualità in questi giorni, portato avanti con l’aiuto di alcune ONG internaionzli tra i profughi che hanno trovato rifugio nella valle della Bekaa. Nella parte appena pubblicata, i ricercatori hanno raccolto campioni di saliva in due momenti, a un anno di distanza, prima a 1.500 bambini e ragazzi di età compresa tra i 6 e i 19 anni, e poi a circa 900 di essi, per controllare eventuali cambiamenti nel tempo. Le analisi genetiche hanno mostrato che lo stress indotto dalla guerra modifica in modo del tutto specifico non la struttura ma l’espressione del DNA, attraverso un fenomeno noto come metilazione, che consiste nell’aggiunta di gruppi a un solo atomo di carbonio alle singole basi della doppia elica. I ragazzi e bambini sottoposti ai traumi della guerra presentano un profilo della metilazione del tutto unico in ben 258 basi, che non corrisponde a quello che si ha quando bambini e ragazzi della stessa età vivono traumi gravi come bullismo o violenze domestiche, ma di altra natura rispetto alla guerra, se non in due soli casi. Inoltre, le femmine sono più colpite dei maschi. Il fenomeno, di tipo epigenetico, può modificare lo sviluppo cognitivo e quello emotivo perché influenza lo sviluppo del cervello, ancora incompleto durante l’adolescenza.

Lo studio prosegue, per continuare a monitorare la situazione dei bambini e dei ragazzi, anche alle luce degli ultimi avvenimenti che coinvolgono tutto il Medio Oriente e avere dati per cercare, appena sarà possibile, di aiutare i piccoli oggi coinvolti nelle guerre della zona (e non solo loro).

A.B.
Data ultimo aggiornamento 11 dicembre 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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