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La causa dell’infertilità maschile potrebbe risiedere nelle alterazioni del microbiota

La qualità dello sperma è data, anche, dalla composizione del microbiota specifico. Lo dimostra uno studio degli urologi dell’Università della California di Los Angeles, pubblicato su Scientific Reports, nel quale è stata compiuta una delle prime analisi mai effettuate sulle diverse popolazioni di batteri presenti in persone con sperma nella norma oppure no, come già fatto da altri gruppi per quanto riguarda la flora batterica vaginale. In particolare, dall’analisi del microbiota spermatico di una trentina di uomini con parametri anormali e da una cinquantina di controlli normali, è emerso che nei primi c’è una grande abbondanza (nettamente superiore rispetto ai cointrolli) di un batterio chiamato Lactobacillus iners, che secerne acido lattico che potrebbe avere un effetto negativo, perché induce infiammazione. Inoltre, due specie del genere Pseudomonas, lo Pseudomonas fluorescens e lo Pseudomonas stutzeri, sembrano essere presenti anch’esse in concentrazioni molto più elevate negli uomini che hanno uno sperma non ottimale, mentre un’altra specie, lo Pseudomonas putida, è presente in concentrazioni più basse, sempre rispetto agli uomini di controllo. Quest’ultimo fatto, nello specifico, mette in evidenza anche un ulteriore aspetto, e cioè che specie batteriche vicinissime come i tre esponenti della famiglia Pseudomonas potrebbero avere ruoli opposti, e che è necessario approfondire, fino a determinare il quadro completo del microbiota spermatico normale, e di quello patologico. Come hanno ricordato gli autori, fino al 30% dei casi di infertilità maschile ancora oggi non ha una spiegazione. Forse, dalla conoscenza del microbiota e delle sue alterazioni, potrebbero arrivare nuove interpretazioni e, soprattutto, terapie basate sul riequilibrio della disbiosi (cioè della perdita di equilibrio tra le specie) riscontrata. In ambito ginecologico sono già entrate nella routine clinica da diversi anni, con ottimi risultati.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 24 gennaio 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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