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La causa degli aborti spontanei a volte va
cercata nel patrimonio genetico del feto

In un caso su 136, l’aborto spontaneo ha motivazioni genetiche che non dipendono dai genitori. Il feto sviluppa infatti mutazioni incompatibili con il proseguimento della gestazione. Lo hanno scoperto i ricercatori del consorzio di DeCode, il grande progetto di mappatura genetica dell’intera popolazione dell’Islanda, poi acquistato dall’azienda Amgen, che sta continuando a studiare quanto raccolto. Nello studio che lo dimostra, pubblicato su Nature, i ricercatori hanno analizzato oltre mille campioni di feti abortiti e poco meno di mille campioni dei rispettivi genitori, per un totale di 467 trii (un feto e due genitori), alla ricerca di anomalie genetiche. Hanno così scoperto che il numero complessivo di mutazioni è simile negli adulti e nei figli (attorno al 6% dei geni). Tuttavia, nei feti le mutazioni che rendono impossibile il proseguimento della gravidanza è triplo, rispetto ai genitori, e questo spiega perché si determinino gli aborti spontanei. Inoltre, in alcuni casi le mutazioni di entrambi i genitori predispongono al fallimento della gravidanza.

La conoscenza dei geni coinvolti potrebbe portare, in futuro, ad analisi specifiche e, in seguito, alla messa a punto di terapie mirate a prevenire gli aborti.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 26 maggio 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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