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La carne coltivata sbarca in Svizzera:
chieste le prime autorizzazioni

di Agnese Codignola*

Con una decisione destinata a segnare una svolta, l’azienda israeliana Aleph Farms, da anni in prima linea nella ricerca sulla carne coltivata, ha rotto gli indugi e ha chiesto alla Svizzera (in particolare all’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria, FSVO) la prima approvazione in assoluto per produrre quest’innovativo tipo di carne in territorio europeo. Cambia così una situazione che nel Vecchio Continente stava iniziando a diventare imbarazzante, vista l’accelerazione che, in tutto il mondo, sta vivendo questo settore. Basta ricordare che, poche settimane fa, due aziende - la Upside Foods e la Good Meat (fondata a San Francisco come ramo della Eat Just, la prima a essere arrivata al traguardo delle autorizzazioni a Singapore nel 2020) - hanno ricevuto per la prima volta il via libera negli Stati Uniti, mentre in Israele  la carne coltivata di Aleph Farms è in vendita da alcuni mesi, anche se, per ora, in un solo ristorante.

La carne ottenuta in laboratorio, facendo sviluppare le cellule staminali degli animali, che si differenziano in cellule muscolari – le stesse che costituiscono la carne tradizionale – è stata presentata al mondo per la prima volta dieci anni fa, dall’ingegnere tissutale Mark Post, dell’Università di Maastricht (Olanda), in forma di hamburger. Da allora sono stati compiuti grandi passi in avanti, che riguardano, per esempio, le condizioni di coltura, che non prevedono quasi più ingredienti come il siero fetale bovino. Ma sono nettamente migliorate anche le caratteristiche organolettiche e in generale fisiche. L’aggiunta di cellule di grasso, per esempio, ha reso la carne coltivata più morbida e simile alla carne cui siamo abituati, così come la crescita in bioscheletri vegetali, che conferiscono una tridimensionalità molto apprezzata. Lo stesso vale per nuovi ibridi, ad esempio con la parte sotterranea dei funghi, il micelio, che stanno portando a prodotti ancora più appetibili, ricchi di elementi preziosi e con percentuali variabili di carne.
Oltre a ciò, rispetto ai primi anni, nei quali si studiavano soprattutto il manzo e il pollo, oggi si coltivano carni di tutti i tipi: bovino e pesce, molluschi e perfino insetti. Secondo tutte le stime, la crescita sarà enorme, perché il mondo, che già oggi ospita otto miliardi di esseri umani, non si può più permettere di fornire proteine attraverso gli allevamenti intensivi, responsabili del 14% delle emissioni di metano e, nel loro complesso, del 30% di quelle di gas serra, oltreché della perdita di biodiversità, della deforestazione, dell’inquinamento delle falde acquifere con i liquami e i fitofarmaci, e dell’uccisione di miliardi di animali. Non a caso anche la FAO (l’agenzia delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), come la quasi totalità degli istituti di ricerca su clima e alimentazione, indicano la coltivazione della carne come una soluzione possibile, da sostenere in ogni modo. E il perché è presto detto: oltre a non comportare alcuna crudeltà (le cellule che poi vengono coltivate si ottengono con una semplice biopsia), i laboratori in cui si coltiva la carne hanno indici di consumo di acqua e terra ridotti circa del 90% rispetto a quelli degli allevamenti tradizionali, mentre i consumi di elettricità sono paragonabili a quelli necessari per allevare polli, e in rapida discesa. In più non ci sono deiezioni da smaltire, né farmaci oppure ormoni da somministrare. Infatti, la carne coltivata, oltre a essere rigorosamente controllata all’inizio della coltura, è ottenuta in bioreattori che lavorano in condizione di sterilità, e non richiede quindi alcun tipo di trattamento antibiotico, né ormonale, come mostra anche un video della stessa Aleph Farms realizzato per la FAO.

Per tutti questi motivi, anche i grandi investitori stanno guardando al settore dell’agricoltura cellulare, confortati dal fatto che i prezzi, inizialmente proibitivi, sono ora del tutto abbordabili, di poco superiori a quelli della carne tradizionale, e in discesa. Anche la risposta del pubblico sembra essere assai positiva: a Singapore la carne coltivata viene offerta in alcuni ristoranti solo in certi giorni della settimana, perché la produzione, in quel caso del pollo dell’azienda americana Eat Just, non riesce a stare dietro alle richieste.

In questo scenario, l’Unione Europea è rimasta indietro, perché fino a oggi nessuna richiesta di approvazione è stata presentata agli uffici appositi, quelli dell’agenzia per la sicurezza alimentare EFSA di Parma, per un motivo chiaro: nessuno sa quale documentazione (cioè quali test) sia necessario produrre, perché non esistono protocolli ufficiali. Per questa ragione, anche se in Europa stanno nascendo alcuni grandi hub di produzione (per esempio, in Spagna è in costruzione il più grande impianto mai realizzato, finanziato dal più grande esportatore al mondo di carne tradizionale, la JBS brasiliana), nessuno ha ancora presentato un dossier. Secondo i regolamenti dell’EFSA, quando è in corso una valutazione, se vengono richiesti approfondimenti la pratica si ferma per un periodo minimo di sei mesi. I produttori temono che, non avendo certezze sui dati richiesti, i loro dossier possano essere fermati anche più di una volta, e che quindi possano esserci ritardi pesanti, magari di anni. Mentre l’EFSA lavora con gli stessi produttori e con le associazioni che li rappresentano anche a Bruxelles per giungere finalmente a protocolli condivisi e standardizzati, e mentre l’Olanda ha deciso, con una specifica legge, di permettere almeno gli assaggi in pubblico, per aiutare la popolazione a familiarizzare, la Svizzera si è preparata da tempo, offrendo ai produttori diverse cose di cui hanno bisogno.

Innanzitutto proprio i protocolli, che l’FSVO ha elaborato, e che hanno permesso ad Aleph Farms di rispondere a tutti i requisiti. E poi gli accordi commerciali con una delle principali catene della grande distribuzione, la Migros, siglati ormai diversi mesi fa. Accordi simili sono stati stipulati anche con un’altra tra le aziende più avanti nella produzione, l’americana Super Meat.
Infine, nel 2021 è stato ultimato il primo hub per la produzione di carne coltivata nei pressi di Zurigo, a Kemptthal, realizzato grazie agli investimenti della stessa Migros, della Bulher e della Givaudan, chiamato The Valley, e diventato operativo nel 2022.

Tutto sembra quindi essere pronto per l’arrivo in Svizzera dei primi prodotti coltivati, che probabilmente saranno proposti da alcuni ristoranti (diversi chef stellati stanno già lavorando alle nuove ricette), proprio perché il sistema non è ancora pronto per grandi quantitativi.

Intanto, pochi giorni dopo aver fatto domanda in Svizzera, Aleph Farms ha presentato domanda anche in Gran Bretagna. Anche la Gran Bretagna, infatti, approfitta della sua non appartenenza all’Unione Europea per puntare senza esitazione verso la carne coltivata, e lo fa, tra l’altro, istituendo una biobanca pubblica chiamata Extracellular, destinata a contenere un gran numero di tessuti adatti alla coltivazione, tutti senza alcuna forma di brevetto, da fornire a chi ne avesse necessità, garantendone provenienza, qualità e caratteristiche biologiche e molecolari, in modo da standardizzare le colture, e dare informazioni utili non solo ai ricercatori e ai produttori, ma anche ai consumatori.

Extracellular, nata  in collaborazione con i veterinari dell’Università di Bristol, ospita cellule di grasso, di muscolo e di midollo osseo di bovino, di maiale e agnello, ma entro i prossimi 12 mesi dovrebbero arrivare anche le cellule di polli e simili, e di pesci. Chi volesse intraprendere studi sulle carni coltivate, o produzioni, potrà così partire da cellule date a un prezzo che è circa un decimo di quello medio delle biobanche private, che oltretutto vendono tessuti molto meno controllati e standardizzati per gli stessi scopi. 

Secondo le stime, in Svizzera il processo di autorizzazione dovrebbe durare circa 12 mesi: nell’estate 2024 le prime carni coltivate potrebbero quindi trovare posto nei menu di alcuni ristoranti elvetici.
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* autrice del libro "Il destino del cibo", pubblicato da Feltrinelli 

Data ultimo aggiornamento 3 agosto 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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