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L’utilizzo regolare del filo interdentale aiuta a scongiurare il rischio di ictus e aritmie

C’è un’abitudine che costa pochissimo, può essere praticata ovunque e da chiunque, e salva la vita, evitando numerosi casi di ictus e fibrillazione atriale: quella di utilizzare regolarmente il filo interdentale, almeno una volta alla settimana. 

L’igiene orale, si sa, è strettamente collegata a una serie di condizioni patologiche, tra le quali quelle cardio- e cerebrovascolari. E ora uno studio presentato al meeting annuale dell’American Stroke Association fa capire quanto un gesto così semplice possa cambiare gli indici di rischio. In esso infatti sono stati analizzati i dati di oltre 6.200 persone che sono state reclutate per una grande indagine di popolazione sul rischio cardio- e cerebrovascolare nel 1987, e che ancora oggi sono monitorate, quando ancora in vita. Lo scopo degli autori (ricercatori della University of South Carolina School of Medicine di Columbia, in Carolina del Sud) era, in questo caso, capire quale, tra tre pratiche di igiene orale, fosse la più efficace da questo punto di vista: il lavaggio quotidiano dei denti, la visita regolare dal dentista o, appunto, l’uso del filo interdentale almeno una volta alla settimana. Il risultato è stato netto: chi utilizzava il filo aveva avuto una diminuzione del rischio di avere un ictus ischemico del 22%, di quello di avere un ictus cardioembolico (dato da un embolo che va dal cuore al cervello) del 44% e un calor della probabilità di avere una fibrillazione atriale (un’irregolartità del battito che può doiventare pericolosa) del 22%. E questi effetti erano tutti indipendenti dalle altre due pratiche, ossia si vedevano anche se la persona non andava spesso dal dentista e non si lavava abitualmente i denti. Il motivo è che solo con il filo si può attuare una pulizia profonda degli spazi interdentali, e contribuire così attivamente a mantenere il microbiota orale in equilibrio, evitando le infiammazioni che possono diventare pericolose e predisporre a infarti, ictus e altre patologie.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 6 febbraio 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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