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L’inquinamento provoca infarti e altro.
E non colpisce ovunque nello stesso modo

L’inquinamento atmosferico danneggia il cuore, e provoca decessi. Lo si sapeva già, ma uno studio condotto in 183 paesi, cioè in quasi tutti i paesi che aderiscono all’Organizzazione Mondiale della Sanità, lo conferma, mettendo anche in luce le gravi diseguaglianze che permangono tra le diverse aree del mondo. Come riportato in Chronic Diseases and Traslational Medicine, infatti, la prima causa di morte da inquinamento atmosferico restano le patologie cardiovascolari, seguite dagli ictus. Ma sono i paesi più poveri a pagare il prezzo più alto.

Nel 2019, il tasso di infarti riconducibili all’inquinamento è stato di 16 ogni 100.000 persone nei paesi più ricchi, contro i 70 su 100.000 dei paesi più poveri.

Un altro effetto dove emerge la grande differenza è quello sugli ictus: nelle zone più inquinate l’incidenza è doppia rispetto a quelle che sono migliorate, e cioè pari a 39 ictus ogni 100.000 persone, contro 19 su 100.000. In questo caso, il motivo sembra chiaro. Gli abitanti dei paesi a un livello di sviluppo inferiore molto spesso utilizzano combustibili fossili di bassa qualità o legna, steerco e altri materiali inquinanti per riscaldare le case e cucinare, e questo ha un impatto molto negativo sull’aria che respirano. Non a caso, numerosi programmi internazionali di organizzazioni no profit, così come dell’OMS e simili, sono finalizzati proprio a fornire combustibili migliori, che oltretutto permettono di ridurre il consumo di patrimonio boschivo. Inoltre, si cerca sempre di educare la popolazione a un utilizzo migliore delle fonti fossili.

Ridurre l’inquinamento atmosferico è un dovere per tutti in paesi del mondo, per diminuire il numero di malattie e morti associate, e per contribuire a mitigare il cambiamento climatico. Aiutare i paesi più poveri a intensificare gli sforzi è un dovere se possibile anche più stringente, almeno fino a quando la situazione sarà meno disomogenea a livello mondiale.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 22 febbraio 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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