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L’inquinamento dell’aria aumenta molto
il rischio di sviluppare una demenza

Il rischio di sviluppare una demenza di Alzheimer può essere significativamente aggravato da un fattore modificabile: l’inquinamento atmosferico e, in particolare, dalle polveri sottili di piccole dimensioni, note anche come PM 2,5, e dal biossido di azoto, entrambi ottenuti dai fumi generati dalla combustione dei motori termici. 

Il legame tra inquinamento e demenze è stato suggerito da tempo, ed è considerato uno dei primi tre, per importanza, insieme ai traumi ripetuti alla testa e al consumo eccessivo di alcol (altri fattori sono l’obesità, la scarsa educazione, la depressione nella mezza età, la solitudine e altro ancora). Tuttavia, ora è stato ulteriormente dimostrato in uno studio nell’ambito del quale un gruppo di oltre 1.100 uomini sono stati seguiti per 12 anni, con particolare attenzione proprio alle condizioni dell’aria respirata ogni giorno. 

Come riferito sul Journal of Alzheimer Disease, i partecipanti avevano 56 anni all’inizio della rilevazione, e sono stati sottoposti a test specifici per la fluenza verbale, la memoria episodica, la capacità di svolgere compiti esecutivi e quella di elaborare il linguaggio e, parallelamente, al controllo per la presenza di uno dei geni più coinvolti nell’Alzheimer, chiamato APOE4. Dopo 12 anni, i partecipanti, sottoposti agli stessi test, hanno mostrato una chiara relazione tra il fatto di essere vissuti in zone con aria inquinata e un peggioramento del rischio, ancora più evidente nei portatori del gene APOE4. Tutti i parametri e il coordinamento tra le varie funzioni cognitive è risultato peggiorato rispetto ai punteggi ottenuti da chi era sempre vissuto in aree con una situazione dell’aria migliore.

Oltre a tutti gli altri effetti negativi, l’inquinamento atmosferico va dunque combattuto anche per contenere l’incidenza della demenza.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 17 maggio 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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